Una interessante decisione del Trib. di Roma che preso atto che la protezione di cui alla lett. b) dell’art. 14 può essere accordata in presenza del rischio di tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese d’origine, da valutarsi in ragione dello stato del diritto nel paese di appartenenza e della situazione personale del richiedente (…), ben motiva stabilendo che:
“È indubbio, infatti, che in Bangladesh perduri ancora oggi una inadeguata tutela dei diritti umani fondamentali. Come riportato da diverse fonti ( USA Department of State, 2015 Country Reports on Human Rights Practices Bangladesh , http://www.refworld.org/docid/5716129fc.html – Amnesty International, Report 2015 The State of the World’s Human Rights Bangladesh, http://www.ecoi.net/local_link/297345/419701_en.html – Human Rights Watch, World Report 2015 Bangladesh, http://www.refworld.org/docid/54cf83c146a.html ), lo scarso controllo delle Autorità sulle forze locali di sicurezza ha condotto più volte al dilagare di fenomeni di stampo corruttivo, di arresti e detenzioni lunghe arbitrarie e pretestuose, di fenomeni di tortura e di sparizioni. Il debole rispetto delle regole, la propensione all’impunità delle condotte illecite tanto delle forze di polizia quanto dei soggetti dotati di influenza politica, hanno spesso impedito ai cittadini di affermare i propri diritti. È permesso, infatti, arrestare e detenere a lungo una persona benché solo accusata, senza garanzie motivazionali, ordini dei giudici o legali autorizzazioni. Il diritto alla difesa, inoltre, è lontano dallo stato del diritto internazionale: spesso impedito o ristretto. Tutto ciò, unito alla degradante situazione dei fermati nelle carceri bengalesi,a trattamenti crudeli e a scarse condizioni igienico-salutari, ha innestato nel richiedente il timore di incorrere in situazioni di pericolo e di non-diritto”.
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Tribunale di Roma ordinanza del 04 Luglio 2018.