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Cona, dalla gestione dei rifiuti alla gestione dei migranti

Flore Murard-Yovanovitch, Huffington Post - 4 gennaio 2017

È un paese dove se sei migrante, puoi morire in un bagno, sotto la doccia, dimenticato. Sandrine B., ivoriana di 25 anni, dai risultati dell’autopsia sarebbe deceduta per una trombosi polmonare nel centro di Cona (Venezia), dopo molte ore dai primi disturbi, la mattina del 2 gennaio.

Mentre fonti sanitari affermano che l’automedica è partita non appena è giunto l’allarme, “ospiti” testimoni citati in vari articoli, ribadiscono che la ragazza si era sentita male dalla mattina, almeno otto ore prima che arrivasse o fosse chiamata un’ambulanza verso le 14: un ritardo che sarebbe il motivo della loro rivolta (non perché ai migranti piace comportarsi da ribelli sui recinti).

La “notizia” non è la rivolta/rabbia dei migranti, come è stata purtroppo dipinta in varie cronache, ma il perché una giovane richiedente asilo muore in Italia, forse di negazione delle cure (lo dirà l’indagine, ci auspichiamo approfondita, per fare chiarezza sull’episodio, sulla causa della morte della ragazza, sul ruolo degli enti gestori nelle tragiche ore dell’allarme, sulla presenza di personale medico o infermieristico, sull’avanzamento della segnalazione alle autorità di primo intervento e gli eventuali ritardi dei soccorsi della giovane S.).

Le negligenze o i maltrattamenti esistono nei centri di accoglienza (come segnalati da decine di rapporti da Ong e associazioni di diritti umani, e tangibili durante le visite a cui ho partecipato nei Cie, Cara, Cspa d’Italia e d’Europa). Forse perché dormi sotto le tende di un cosiddetto “centro di accoglienza“, costruito, come tanti altri, in un ex-base militare o una caserma.

Laddove costruivano missili, ora vivono migranti. Quelli che hanno attraversato il Mediterraneo, sui gommoni, dall’inferno dei lager Libici. Giacciono ancora e ancora in tende (vedere le foto); nel caso di Sandrine, dal suo sbarco avvenuto in agosto 2016, mentre centri come quello di Cona – non è un Cas, non è un Cara, non è un hub – non dovrebbero ospitare soggetti vulnerabili come donne e bambini o vittima di tratta.

Il Centro di Cona è un luogo “temporaneo emergenziale” che sopperisce alla mancata accoglienza dei comuni veneti, i cui sindaci rifiutano di accogliere richiedenti asilo. Muori perché la tendopoli è lontana dal centro, muori perché ai migranti si dice sempre di aspettare, che gli infermieri, i dottori, arriveranno “dopo”, bisogna essere “pazienti”, o forse perché sei nera, nei vili razzismi invisibili quotidiani nei luoghi dell’apartheid.

O perché i ragazzi volontari che si occupano di accoglienza, spesso per la prima volta, non sanno identificare, distinguere i bisogni /esigenze/emergenze, e reagire in modo adeguato nel caso di un’emergenza; forse, perché non sono stati formati a sufficienza? L’operatore di accoglienza è un mestiere a sé che dovrebbe richiedere competenze, requisiti specifici e sistemi di controlli.

E infatti, spunta un dettaglio interessante, rilevato da una delegazione della Campagna “LasciateCIEntrare e Melting Pot” che aveva effettuato a giugno scorso una visita nel centro di Cona e rilevatene le gravi inadempienze: la cooperativa Ecofficina, prima di occuparsi di migranti, era specializzata in gestione di rifiuti.

“Ecofficina è una cooperativa sorta nel 2011, come gruppo dedicato alla gestione dei rifiuti e dalla fine di marzo del 2014 entrata in ambito accoglienza. Con questo passaggio “il suo valore di produzione è passato dagli iniziali 114 mila euro a un milione e 145 mila” (fonte: Finanzaonline; articolo di Andrea Priante del 4 aprile 2016).” (Rapporto della Campagna LasciateCIEntrare e di Melting Pot, 10 giugno 2016)

Ce lo deve spiegare la Questura, la Procura veneta o il Ministero dell’Interno perché affidare a una cooperativa di riciclaggio, la gestione di migranti? O perché in tutta questa troppa conosciuta storia italiana, un nesso logico purtroppo c’è? Migranti-rifiuti. Migranti da parte, sfruttabili, rimuovibili, invisibili, eliminabili.

E a proposito, nella serie morti di Stato evitabili, la cooperativa sociale Ecofficina che gestisce, oltre il centro di Cona, anche gli “hub” di Bagnoli e della Prandina a Padova e alcuni centri Sprar per un totale che supera i 1200 richiedenti asilo accolti, era già finita sotto inchiesta (indagati i capi, dalla Procura di Padova per reati di truffa aggravata e falsità materiale nell’ambito dell’accoglienza dei richiedenti asilo) e sospesa da Confocooperative. Ma come tanti casi di corruzione nella mal gestione dei centri di accoglienza, i bandi di gara li vincono quelle già indagate, basta cambiare i nomi.

Migranti. Rifiuti.