Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

«E’ così la Francia?». A Parigi i rifugiati sgomberati dagli accampamenti di Porte de la Chapelle ritornano a vivere in strada

Photo credit: Valérie Pico (La Maison des Réfugiés, Paris)

In questi ultimi mesi, arrivano a Porte de la Chapelle, nella zona a nord-est in prossimità della prima cintura parigina, almeno 80 persone ogni giorno: giungono da sud, Mentone-Ventimiglia, e da nord, Calais, per chiedere asilo in Francia (o per passare in Inghilterra)
Il primo sgombero del 2017, lo scorso 9 maggio, durante il quale 1800 migranti erano stati evacuati per “sicurezza” e per “insalubrità“, arrivava dopo l’apertura, in novembre di un anno fa, del centro di Porte de la Chapelle, struttura gestita da Emmaüs e dal Comune di Parigi che avrebbe dovuto eliminare il problema degli accampamenti in città. Un ciclo permanente che dura da oltre 15 anni. I primi ad installarsi, al tempo lungo il Canal Saint-Martin, zona limitrofa ai quartieri della Gare de l’Est e della Gare du Nord, quella che va verso la Manica, furono i rifugiati afgani dopo le incursioni belliche post 11 settembre.

A fine giugno, oltre un migliaio di immigrati erano accampati in fila d’attesa intorno al Centro di prima accoglienza in condizioni inumane, lasciati letteralmente a marcire tra i loro rifiuti, senz’acqua e servizi igienici con temperature che regolarmente oltrepassano i 30 gradi. Altri immigrati dormivano in una tendopoli in situazione di degrado che si trovava a poche centinaia di metri, riferimento per i nuovi arrivati e per la rete di associazioni solidali, in particolare per le centinaia di persone che aiutano, ospitano a turno, per una notte o per un caffè, adulti, famiglie e minorenni in cerca di un angolo dove poter dormire, mangiare, lavarsi, curarsi.

Venerdì 7 luglio, 500 poliziotti e funzionari della prefettura si sono presentati alle 6 del mattino per “proporre una soluzione di alloggio provvisorio nella regione“, come si può leggere dal comunicato-stampa. Afgani, sudanesi e somali sono stati caricati su una sessantina di autobus che due ore dopo li hanno portati in una ventina di “strutture” (palestre e luoghi dismessi risistemati in urgenza per l’ennesima volta). Calcolando che gli autobus hanno preso a bordo al massimo 1.500 persone, ne sono rimaste quasi altrettante senza tenda, materasso o angolo protetto dove ripararsi.
L’accampamento che accoglieva nella prima settimana di luglio una popolazione di circa 2800 persone, tra cui donne e bambini (provenienti principalmente dalla regione a nord del Sahel, dal Medio-Oriente e dai paesi dell’Asia centrale), con 3 punti acqua e 7 sanitari era in condizioni spaventose, infestato di parassiti con persone che si allungavano sull’asfalto rovente, alcuni non si alzavano neanche più per mangiare. Allora, l’evacuazione è parsa un sollievo pur sapendo che il riformarsi di altri micro-campi negli interstizi urbani della stessa zona, e altrove, è ineluttabile.

PARIS LE 7 JUILLET 2017 from Hervé Nisic on Vimeo.

Tutto organizzato seguendo lo stesso modello lineare di sempre, ma anche se spostati provvisoriamente di qualche km, i migranti restano abbandonati e all’addiaccio, alcuni hanno perso più di una volta i loro scarsissimi e indispensabili oggetti personali durante le evacuazioni. Molti espulsi in Italia, ritornano dopo qualche ora, giorno o settimana. Pochissimi restano nei Centri perché sono lontani da tutto e da chi conoscono, e spesso – testimoniano – si ritrovano in condizioni peggiori che in strada.
Infatti, domenica 9, la distribuzione volontaria dei pasti sotto un violentissimo temporale è ricominciata sugli stessi marciapiedi ripuliti due giorni prima. Alle fine di luglio le presenze si saranno senza dubbio moltiplicate.

Un girone dantesco che né la sindaca Hidalgo, né i successivi ministri sono riusciti a eliminare.
Mercoledì 12, il nuovo ministro dell’interno del governo Macron, Collomb, presenterà il suo “programma sull’asilo e sull’immigrazione” ma nessuno si illude, nonostante le parole “dignità” e “onore” siano state pronunciate dal neo-presidente eletto rispetto alla presenza dei migranti in Europa. Le promesse restano vuote e l’intenzione è dichiarata: chiudere la porta di casa, controllare le frontiere e dissuadere l’arrivo, respingere i “dublinati” e reprimere chi si appella al rispetto del diritto e delle leggi.

All’indecenza delle condizioni di vita dei migranti, corrisponde l’indecenza politica e amministrativa nel proporre una serie di gesticolazioni per la forma, rendendo perenne il dispositivo dell’emergenza migranti – calcato su quello dell’emergenza anti-terrorismo.
La messa in scena di quest’ultimo intervento parigino “per risolvere il problema nazionale dei migranti” si è svolta nel più prevedibile dei modi operativi: Il ministro Collomb annuncia un “piano asilo“, la settimana dopo la sindaca Hidalgo si rivolge al ministro Collomb esortandolo ad abbandonare il metodo repressivo a favore dell’accoglienza e comunica una proposta di legge che riassume un piano quinquennale di integrazione dei migranti. Non essendo parlamentare, la sindaca dovrà contare sull’appoggio parlamentare e al senato per discutere e difendere la sua proposta di legge.
La sindaca si muove come se fosse ministra. Al di là delle buone intenzioni, questa manovra, allo stato attuale inoffensiva e inefficace, ha più effetto come comunicazione che soluzione della drammatica situazione umanitaria, della quale lei stessa è tra i principali responsabili. Infatti l’effetto annuncio arriva proprio nel momento in cui il Centro di Porte de la Chapelle è inaccessibile alla quasi totalità dei richiedenti asilo perché saturo e non offre sufficienti posti alloggio manco per pochi giorni.
Parallelamente, la priorità dichiarata del governo Macron in fatto di accoglienza è di ridurla allo zero, come dimostrato con l’immediato invio di rinforzi polizieschi a Calais o dell’uso della legione straniera e dei droni a Ventimiglia, e di scaricare quindi sui paesi europei d’arrivo, principalmente Grecia e soprattutto Italia, il peso della “crisi migratoria” che la Francia stessa ha alimentato per prima.
D’altra parte non sembra concretizzarsi alcuna opzione rispetto alla modifica degli accordi (e conseguenti finanziamenti presi dalla Gran Bretagna) per gestire la frontiera inglese sul territorio francese. E a Calais nulla è stato fatto, a parte la costante violenza e violazione dei diritti umani denunciata da ONG e cittadini nelle aule dei tribunali.

La sindaca di Parigi è sicuramente ossessionata dalla crisi umanitaria e sanitaria nella capitale, ma la sua più grande preoccupazione non è la minaccia che incombe sulla vita dei migranti ma quella della situazione inaccettabile per la capitale destinata ad accogliere le grandi manifestazioni internazionali, dalle Olimpiadi alle Esposizioni previste nell’agglomerato urbano dell’Île-de-France, e dagli interessi in gioco per il mercato immobiliare che ricalibra gli investimenti sulla più grande opera europea in corso: Grand Paris.
Questo è il vero ruolo pubblico della sindaca Hidalgo, e quello del prefetto è di fare da sponda esecutiva alla politica portata avanti dal governo-impresa di Macron a difesa di questi interessi. Infatti il prefetto non esita a usare termini come “messa al riparo” dei migranti mentre i camion della nettezza urbana, mai passati a raccogliere e pulire i dintorni dell’accampamento fino ieri, oggi tritano e distruggono ciò che resta degli effetti personali dei migranti.

La facciata bella, buona e coraggiosa della città deve essere salvaguardata e protetta, l’immagine non può essere sporcata dalla presenza scomoda dei migranti e della povertà.