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“Fermi contro il razzismo”, a un anno dalla morte di Emmanuel a Fermo resta ancora tanto da fare

Le voci del corteo di Fermo alla manifestazione antirazzista del 5 luglio 2017

Un anno può passare in fretta, senza lasciare alcuna traccia. O, al contrario, può trascorrere lentamente, segnando a fondo un territorio e una comunità. In un certo senso, si può dire che a Fermo, a un anno dall’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi, il rifugiato nigeriano ucciso al culmine di un’aggressione razzista, i due scenari tendano ancora a convivere.

Questa almeno è l’impressione all’indomani della manifestazione “Fermi contro il razzismo” promossa dal Comitato 5 luglio, che ha visto migliaia di persone, tra cui molti migranti, rendere omaggio alla memoria di Emmanuel e tentare di seminare un messaggio di giustizia e solidarietà in una città che non solo non sembra ancora aver metabolizzato fino in fondo la gravità della violenza consumatasi tra le sue mura, ma appare impantanata in un terreno avvelenato dall’indifferenza e dal giustificazionismo razzista.

Non è un caso che l’assenza più rumorosa al colorato corteo che ha attraversato il centro storico per chiedere una nuova politica dell’accoglienza fondata sull’apertura delle frontiere, l’istituzione di corridoi umanitari, la tutela dei diritti, la fine delle politiche repressive esasperate di recente dal decreto Minniti-Orlando, sia stata proprio quella della città, al netto del generoso impegno di tanti movimenti, associazioni, partiti e sindacati che si sono spesi nella sua organizzazione.

Città che in questi dodici mesi ha tentato di smarcarsi e di respingere l’accusa di razzismo affibbiatagli dopo l’uccisione di Emmanuel, ma che alla prima occasione ha sempre dimostrato di essere quasi totalmente prigioniera delle sue ossessioni identitarie, largamente contaminate da umori xenofobi. Che dire, infatti, dell’ostentata e quasi incontrastata soddisfazione di tanti quando lo scorso maggio l’omicida Amedeo Mancini, a seguito dell’incredibile verdetto del tribunale di Fermo, è tornato a essere uomo libero? E di coloro che a lui hanno dedicato la promozione in serie C della locale squadra di calcio (evidentemente ci si accontenta di poco o forse si tende a dare il giusto valore alle persone)? Per non parlare della kafkiana inchiesta sulla presunta affiliazione di Emmanuel alla Black Axe, la famigerata mafia nigeriana, pompata all’inverosimile dai media locali e archiviata (strano vero?) ben tre mesi fa nel silenzio più totale.

Non è poi privo di significato il fatto che proprio il giorno successivo alla manifestazione, qualche “eroica” mano abbia fatto sparire un semplice cartello in cui si ricordava Emmanuel, vittima del razzismo. E non lo è neppure la valanga di commenti negativi e insulti ricevuti sui social dal Comitato che aveva immediatamente denunciato il vigliacco gesto, emblema dell’ostilità che da queste parti si continua a nutrire nei confronti dei migranti.

È anche vero, però, che il lavoro svolto in questo anno dal Comitato 5 luglio, in particolare nelle scuole, qualche risultato lo ha dato. La pensa così Alessandro Fulimeni, responsabile della rete Sprar della provincia di Fermo: “Il fatto positivo è l’ampia adesione che abbiamo raccolto intorno a una piattaforma netta e costruita dal basso, con presenze anche importanti come quella della Rete degli Studenti Medi. Un fatto sicuramente non scontato e che indica una discontinuità rispetto a qualche anno fa. Naturalmente resta ancora tanto il lavoro da fare. E diciamo anche che pur non essendo giustizialisti, crediamo che l’epilogo avuto dalla vicenda giudiziaria con la definitiva scarcerazione di Mancini sia stato un fatto ingiustificabile, così come il ricorso presentato contro l’aggravante razziale, su cui il tribunale si esprimerà nei prossimi mesi”.

Più disilluso il commento di Ennio Brilli, fotografo fermano: “Purtroppo, subito dopo la tragica morte di Emmanuel, quel sottofondo sotterraneo e massonico che esercita il potere a Fermo, molto influente e pericoloso, è riuscito nell’opera di normalizzare e minimizzare l’accaduto, fatto che ha poi finito per condizionare anche il percorso giudiziario. A questa opera di normalizzazione non è stata estranea neanche l’Amministrazione comunale, che messo in atto una vera e propria strategia di distrazione. Non è questo il modo giusto per contrastare i radicati sentimenti razzisti, soprattutto tra molti giovani e giovanissimi fermani che oggi vedono Mancini come un modello”.

“Fermo – sottolinea Valentina Giuliodori, dei Centri sociali delle Marche – dopo un anno non è riuscita a diventare per tutta l’Italia il simbolo di una città che contrasta il razzismo, che accoglie e rispetta i diritti. Siamo qui per ricordare l’omicidio di Emmanuel, ma anche per denunciare le disuguaglianze e ricordare che tutta l’Europa sta diventando razzista, con la costruzione dei muri, la criminalizzazione delle Ong, impegnate nei salvataggi in mare dei migranti e gli accordi stipulati con la Turchia e la Libia. L’unica vera sicurezza, quella che avrebbe salvato anche Emmanuel, è quella dei diritti e della giustizia sociale.
Ciò che conta, tuttavia, è la volontà di non arrendersi all’avanzare della palude che, fomentando odio ed eleggendo l’ignoranza a virtù, fagocita ogni più basilare principio di civiltà e getta nella barbarie la nostra società.

Una volontà testimoniata dai tanti che dalle Marche e anche da fuori regione hanno voluto essere presenti a Fermo e che ci piace identificare con le parole espresse sul palco da Andrea Costa, di Baobab Experience: “Abbiamo voluto essere qui oggi per ricordare Emmanuel e per ricordare che ci persone che vengono in Italia perché costrette a fuggire dalle loro terre. Nessuno, infatti, è contento di lasciare il proprio Paese. Per questo quelli che arrivano non solo hanno diritto all’accoglienza, ma dobbiamo fare di tutto affinché sia un’accoglienza degna, dopo viaggi fatti dolore, tortura e violenze. Purtroppo, invece, quando arrivano qui trovano troppo spesso la morte.

Dall’inizio dell’anno oltre settemila persone sono morte in mare. Una morte poi non così diversa, o con mandanti, complici ed esecutori diversi, da quella di Emmanuel.

Per questo dobbiamo continuare la mobilitazione, a Fermo come a Roma, a Lampedusa come a Ventimiglia, nelle isole greche come nelle coste turche o in Spagna. Perché è una battaglia europea e dobbiamo affrontarla tutti insieme”.

Simone Massacesi

Vivo ad Ancona e mi sono laureato in Storia contemporanea all’Università di Bologna. Dal 2010 sono giornalista pubblicista.