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Francia – Il campo della Grande-Synthe distrutto da un incendio. E ora?

Lunedì 11 aprile sono bastate poche ore a mandare in fumo le casette di legno dove abitavano rifugiati iracheni e afghani cacciati via dalla bidonville di Calais demolita nell'ottobre 2016

Durante il sopralluogo tra le macerie, il ministro dell’interno, Matthias Fekl, ha dichiarato che “non ci sarà alcuna ricostruzione di un nuovo campo“, invece il sindaco (EELV, ecologisti-verdi), Damien Carême, vorrebbe ricostruire il campo la cui installazione è stata autorizzata per altri sei mesi, fino al 31 agosto.
Da parte del governo, l’intenzione sarebbe quella di approfittare dell’incendio doloso, scoppiato a causa di una rissa tra migranti, per replicare le stesse soluzioni adottate con la “jungle“: disperdere i migranti nei CAO, Centri di accoglienza e di orientamento creati nell’improvvisazione sul territorio francese e allontanare di fatto i migranti che vogliono raggiungere l’Inghilterra. Ma niente garantisce il fatto che i migranti accettino di andarsene dalla zona di confine e che rinuncino alla destinazione finale del loro lungo e difficoltoso viaggio. Il rischio è identico a quello che si sta riproducendo a Calais con il tentativo e la necessità di accamparsi in modo precario e con tutte le conseguenze umane che questo tipo di situazione comporta.

Ricostruendo gli eventi che hanno dato origine al campo della Grande-Synthe si passa per l’emergenza e la sua fabbrica della “crisi dei migranti“: per far fronte all’urgenza nel campo di Basroch, detto “campo della vergogna“, che da 80 persone è passato, in pochi mesi nel 2015, ad ospitarne quasi tremila, il sindaco Câreme, davanti agli inefficaci interventi governativi, si era rivolto allo Stato per chiedere dei sanitari, docce e allacciamenti dei servizi, e a MSF per l’assistenza.
All’inizio dell’inverno 2015, la situazione era insostenibile per l’amministrazione al punto da convocare una conferenza stampa il 23 dicembre per annunciare il progetto di un campo umanitario e mettere il ministro dell’interno – all’epoca Cazeneuve, oggi primo ministro – davanti al fatto compiuto.

Il 7 marzo 2016 per la prima volta MSF apre un campo umanitario in Francia.
Il campo per i migranti viene gestito con l’aiuto della municipalità, dei volontari e delle associazioni, un investimento iniziale di 3 milioni di euro per 300 casette, dormitori, unità sanitaria e cucine collettive, lavanderia e spazi per stendere i vestiti in un’area concessa a lato dell’autostrada A16 all’uscita di Dunkerque e a 40 km da Calais. Circa 1500 migranti in transito alla Grande-Synthe abbandonano le tendopoli nel fango per installarsi temporaneamente negli alloggi che rispettano le norme di base internazionali dell’Alto-Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite.
In quell’occasione, MSF difende l’azione che permette di costruire un campo con meno di 4 milioni di euro mentre quello concepito dallo Stato francese a Calais con dei containers per 500 ospiti è costato 20 milioni.
Nel contempo, il prefetto al momento dell’apertura, minaccia di rifiutare l’autorizzazione motivando il rifiuto con il rischio di incendio in prossimità dell’autostrada, ma il sindaco si oppone e insiste ottenendo il permesso dopo una serie di modifiche al progetto.
Alla fine si arriva alla firma di una convenzione tra lo Stato (ministero dell’Interno e quello dell’Abitazione), il Comune e un’associacione regionale che lotta contro l’esclusione (Afeji) per la gestione e il finanziamento del campo. Già allora si prospetta comunque una chiusura “progressiva” del campo.

Nel campo della Grande-Synthe lo scorso gennaio sono state recensite 1200 persone, ma la densità di popolazione raggiunta dopo la demolizione della bidonville di Calais, ha degradato le condizioni di vita che provocano conflitti ricorrenti, inevitabili. Come è accaduto nella bidonville di Calais dopo che lo spazio era stato ridimensionato, dimezzato dalle ruspe della Prefettura, e il numero dei migranti raddoppiato in pochi mesi con i nuovi arrivi e la cacciata dei migranti da Parigi, fino a raggiungere la presenza di 10 mila persone nel momento della sua definitiva evacuazione.
Le associazioni riconoscono che le strutture si sono deteriorate con il tempo e con l’usura, MSF constata che le norme internazionali di base non sono più rispettate e ricorda che “il campo è rimasto un campo e non è diventato uno spazio dove poter vivere“. Da parte sua il governo chiede lo smantellamento del campo. Al quale il sindaco si oppone privilegiando la via dell’accoglienza, chiedendo più finanziamenti e più sostegno invece di focalizzare gli interventi sulle questioni di ordine pubblico. Interventi che stanno prendendo di mira una rete organizzata di “passeurs” individuati come kurdi-iracheni con ‘tariffe’ che vanno tra i 3500 e 12.000 euro a persona. Presenze che hanno fomentato le tensioni tra i gruppi e le comunità ospitate nel campo e reso di conseguenza il contesto esplosivo, che è poi degenerato nel regolamento di conti che avrebbe dato origine all’incendio.

Mentre il sindaco cerca soluzioni e aiuti per garantire almeno l’ospitalità iniziale del campo, il ministero degli Interni informa che i 400 CAO prevedevano 7.000 posti in ottobre 2016 e che la sovrappopolazione della Grande-Synthe è dovuta al numero insufficiente di CAO, rimuovendo il dato che solo una parte dei migranti sono saliti sugli autobus che li distribuivano come pacchi nei villaggi sperduti della Francia. Altri non sono mai andati via da Calais, altri ancora si sono dispersi ancora una volta nei vari ripari improvvisati a Parigi o sono tornati a Calais, e alla Grande-Synthe.

Senza poter fare un censimento, si può dire approssimativamente che la metà dei migranti della “jungle” nell’arco dei sei mesi invernali, sta tornando in zona per tentate di arrivare in Inghilterra. Senza sapere cosa riservano i prossimi mesi e i prossimi prevedibili arrivi.

La moltiplicazione dei CAO è ipoteticamente una soluzione temporanea, accettabile là dove si attua la politica di accoglienza e di inserimento socio-educativo, soprattutto dove l’amministrazione risponde ed accetta le domande di asilo. Ma il punto critico è proprio la politica fortemente dissuasiva e il rifiuto quasi sistematico della domanda di asilo nonché il freno al ricongiungimento familiare che i migranti denunciano da tempo.

Per i migranti della Grande-Synthe, al dramma di aver perso l’alloggio ed i beni personali ridotti in cenere, si aggiungono la stigmatizzazione e gli attacchi politici che condannano esistenza del campo umanitario.
La campagna elettorale non aiuta, Marine Le Pen, rafforzata dai sondaggi che la presentano in testa alle preferenze dei francesi che andranno a votare, denuncia a gran voce il “caos migratorio” e promette lo smantellamento totale dei campi, la riduzione drastica dell’asilo e la chiusura delle frontiere nazionali con l’intenzione di ridiscutere lo statuto di Schengen. La nazionalista è seguita a ruota dal candidato della destra repubblicana, Fillon.
In questi giorni circa 1.000 sui 1500 ospiti del campo distrutto sono alloggiati provvisoriamente nelle tre palestre messe a disposizione del Comune in attesa di essere trasferiti nei CAO oppure di riprendere isolati il viaggio dell’esilio.