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Giurisdizione sui (presunti) crimini commessi contro i migranti

di Ilaria Penzo *

Foto: HRW

Introduzione

Le più stimate agenzie e ONG del panorama internazionale (ad esempio UNHCR, IOM, Commissione ONU contro la Tortura, UNITED, Human Rights Watch, Amnesty International) hanno riferito come, a partire dall’esplosione di gravi crisi umanitarie nei principali Paesi di provenienza (Siria, Eritrea, Somalia, Afghanistan), si stiano verificando importanti violazioni dei diritti umani dei migranti in alcuni Stati di confine con l’Unione Europea e nei suoi più importanti centri di identificazione (in Grecia e in Italia).

Lo scopo di questo paper, dunque, consiste nel dimostrare che queste violazioni potrebbero essere considerate non solo come questioni proprie del diritto internazionale umanitario, ma anche di diritto penale internazionale: conseguentemente, dal punto di vista della questione di giurisdizione su questi inadempimenti umanitari, la Corte Internazionale di Giustizia non sarebbe più l’unico organo giurisdizionale legittimato a decidere sul punto, poiché si troverebbe, invece, a dover condividere i propri poteri con la Corte Penale Internazionale.
Quest’analisi, perciò, si concentrerà sull’individuare un collegamento tra la responsabilità giuridica degli Stati sotto il profilo del diritto internazionale umanitario per la violazione dei diritti umani dei migranti e la responsabilità penale di soggetti non statuali (pubblici ufficiali, ministri, etc …) corrispondente alle medesime violazioni, la cui gravità riconduce alle fattispecie dei crimini internazionali previsti dallo Statuto della Corte dell’Aia.
La necessità di una maggior attenzione a ciò che sta succedendo alla categoria dei migranti, che costituiscono un’importante, seppur esigua, fascia della popolazione, sensibilmente vulnerabile (nel 2015 erano stati stimati circa 3.3% migranti rispetto alla popolazione mondiale), è diventata, infatti, sempre più irrinunciabile e urgente, a causa della scarsità (se non mancanza) di disposizioni precettive positive nell’attuale diritto internazionale pubblico e umanitario che riguardino lo status dei migranti durante il loro viaggio, ai confini e nei centri di detenzione amministrativa e di accoglienza.

Infatti è proprio nei centri di detenzione (regolari o irregolari che siano) in Libia e nei Paesi di prima accoglienza dell’Unione Europea, oltre che nel Mediterraneo, il confine europeo che si è rivelato più fatale di tutti gli altri, che i migranti, a causa della loro condizione di irregolarità documentale, corrono il concreto rischio di morire, essere uccisi, costretti in schiavitù, deportati, perseguitati, incarcerati, torturati, abusati sessualmente, costretti a prostituirsi, trafficati e dove rischiano di subire altri atti disumani e degradanti che causano loro gravi sofferenze fisiche e mentali.

I pericoli che affrontano i migranti possono facilmente essere ricondotti all’elenco che compone la fattispecie dei crimini contro l’umanità ex art. 7.1 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, mentre è più difficile ricondurli al reato di genocidio, poiché la Corte si è pronunciata sul punto emettendo un mandato di arresto per questo particolare crimine solo una volta, precisamente nel caso The Prosecutor v. O. Al Bashir e si è pronunciata interpretando in modo molto restrittivo i requisiti necessari per configurare il crimine di genocidio.

Per l’obiettivo di questo paper, dunque, è ragionevole svolgere un controllo incrociato tra gli elementi materiali enunciati all’art. 7 dello Statuto (il contesto, l’elemento psicologico, la sussistenza di una ratio strutturalmente pubblica) e le tipiche condizioni in cui si verificano le principali violazioni dei diritti umani dei migranti, per verificare se le due categorie coincidono.

Dopo essere riusciti a dimostrare questa corrispondenza, l’analisi può spostarsi alla questione della giurisdizione. Mentre, infatti, è chiaro come i crimini contro l’umanità siano ricompresi nella giurisdizione della Corte dell’Aia per materia ex. Art. 5 dello Statuto, deve anche essere provato come i crimini contro i migranti presumibilmente commessi in Libia e in Italia rispettino i canoni richiesti per la giurisdizione ratione temporis ex. Art 11, ratione loci e personae (art. 12).

Per concludere, inoltre, sarebbe interessante verificare se la Corte Penale Internazionale, sia in grado, da sola, di garantire una copertura giurisdizionale alle trasgressioni del diritto internazionale umanitario che si verificano a danno dei migranti oppure, invece, se si renda necessaria una qualche forma di dialogo o “contaminazione” con altre corti internazionali, come la Corte Internazionale di Giustizia, che invece è l’unica ad avere giurisdizione nel perseguire colpevoli del calibro di entità statuali, o con corti regionali, come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Conclusioni

Con questo paper si è cercato di dimostrare come sia astrattamente possibile configurare la giurisdizione della Corte Penale Internazionale per i crimini commessi contro i migranti come minimo per quanto riguarda le condotte dei rappresentanti dei governi libici e italiani.

E’ possibile, inoltre, derivare che il Procuratore dell’Aia potrebbe aprire una seconda indagine nei confronti dei rappresentanti delle autorità pubbliche libiche per i crimini contro l’umanità commessi fin dal crollo del regime di Gaddafi nel 2011, come confermato dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1970/2011; in più, il Procuratore potrebbe addirittura aprire un’indagine per chiarire la responsabilità individuale di alcuni esponenti delle autorità pubbliche italiane a partire dal 2009 (anno in cui è entrato in vigore per la prima volta l’accordo bilaterale di cooperazione tra Libia e Italia) per quanto riguarda un presunto favoreggiamento dei crimini commessi contro i migranti nei confini Libici e nei relativi centri di detenzione; infine, si potrebbe derivare anche che entrambe le indagini potrebbero essere giudicate “ammissibili” da parte della Camera competente per le questioni preliminari.

Questo paper, infatti, dimostra come entrambe queste indagini potrebbero presumibilmente superare il test della “sufficiente gravità” ex art. 17.1 lett. d dello Statuto, dal momento che i crimini contro i migranti sono già stati considerati sufficientemente gravi dalla Corte Penale Internazionale stessa, in occasione dello svolgimento della precedente indagine in Libia, e che la loro natura estesa e strutturale è stata dimostrata da una crescente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo culminante in una serie di condanne di diversi Stati europei per la violazione dei diritti fondamentali dei migranti.

Per concludere, i casi contro le autorità di Libia e Italia potrebbero rispondere anche al requisito della “mancanza di volontà o incapacità” di perseguire i colpevoli tramite il ricorso al proprio sistema giurisdizionale nazionale. Per quanto riguarda le autorità libiche, potrebbe essere ipotizzata un’inabilità dello stato ex art. 17.1 lett. c a prescindere dal principio di complementarietà, dal momento che sin dalla fine del regime di Gaddafi la situazione politica in Libia continua ad essere instabile e ciò sarebbe dimostrato anche dal mandato che è stato conferito a UNSMILL a partire dal 2011.

Per quanto riguarda, invece, l’indagine sulle responsabilità delle autorità italiane, si potrebbe ipotizzare che sussista un profilo di mancanza di volontà (come descritta all’art. 17.1 lett. c dello Statuto) di perseguire I colpevoli ricorrendo alle proprie corti nazionali, a causa della presenza di diversi tipi di immunità penali, previsti dal diritto interno e internazionale e che sarebbero derogabili esclusivamente nell’ipotesi dell’emissione di un mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale stessa, come afferma l’art. 27 dello Statuto, ma anche a causa del fatto che gli accordi bilaterali di cooperazione con la Libia sono tutt’ora in vigore e quindi un’indagine interna potrebbe sfociare in un eventuale conflitto di interessi.

– Leggi: The Possible Jurisdiction over Crimes Allegedly Committed against Migrants