Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

HRW – Libia: l’incubo della detenzione per migranti e richiedenti asilo

L’UE e l’Italia si assumano le proprie responsabilità e pongano delle condizioni

Kemi, una donna nigeriana che al momento era incinta di sette mesi, ha detto che una guardia al centro di detenzione di Karareem l'ha picchiata con un tubo. © 2018 John Holmes per Human Rights Watch

(Bruxelles) – Le politiche dell’Unione Europea concorrono a un circolo vizioso di insostenibili abusi contro i migranti in Libia, afferma Human Rights Watch in una relazione pubblicata oggi. Il supporto dell’UE e dell’Italia alla Guardia Costiera libica dà un contributo fondamentale all’intercettazione dei migranti e dei richiedenti asilo, e alla loro successiva detenzione in un sistema arbitrario e costellato di violenze.

Le 71 pagine della relazione: “L’inferno senza scampo: Le politiche dell’Unione Europea contribuiscono agli abusi sui migranti in Libia” documentano la situazione di grave sovraffollamento, igiene precaria, malnutrizione e mancanza di assistenza sanitaria. Human Rights Watch ha messo in luce gli abusi (compresi pestaggi e frustate) commessi dalle guardie in quattro centri di detenzione ufficiali nella Libia occidentale; ha trovato un gran numero di minori, persino neonati, reclusi in condizioni gravemente inadeguate in tre delle quattro strutture visitate. Nel 2018, quasi il 20 per cento dei migranti che hanno raggiunto l’Europa via mare partendo dalla Libia erano bambini.

I migranti e i richiedenti asilo in Libia, compresi i bambini, sono prigionieri di un incubo, e l’operato dell’Unione Europea non fa che perpetuare il sistema di detenzione anziché liberare le persone dalle condizioni abusive in cui si trovano”, ha dichiarato Judith Sunderland, direttore associato per l’Europa e l’Asia centrale di Human Rights Watch. “I pochi sforzi dimostrativi per migliorare le cose e far uscire qualcuno dalla detenzione non assolvono l’UE dalla responsabilità di consentire questo sistema barbaro”.

In una lettera inviata all’organizzazione mentre il testo andava in stampa, la Commissione europea ha affermato che il suo dialogo con le autorità libiche si incentra sul rispetto dei diritti umani di migranti e rifugiati, che l’impegno dell’Unione in Libia è di natura umanitaria e che sono stati fatti concreti passi avanti, sebbene ci siano ancora dei problemi da affrontare.

A luglio 2018, Human Rights Watch ha visitato i centri di detenzione di Ain Zara e Tajoura a Tripoli, di Karareem vicino a Misurata e di Zuwara nell’omonima città. Tutte le strutture sono gestite dal Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (DCIM) del governo di unità nazionale (GNA), una delle due autorità che si contendono il potere in Libia. Le ricercatrici dell’organizzazione hanno intervistato più di 100 migranti e richiedenti asilo detenuti, compresi 8 minori non accompagnati, oltre al direttore e al personale di ogni centro. Hanno incontrato anche il capo del DCIM, alcuni alti funzionari della Guardia Costiera del GNA, rappresentanti delle organizzazioni internazionali e diplomatici.
© 2018 John Holmes for Human Rights Watch
Abdul, un diciottenne proveniente dal Darfur, è stato intercettato dai guardacoste libici a maggio del 2018, mentre tentava di raggiungere l’Europa per fare richiesta di asilo. È stato mandato a Karareem, una struttura sovraffollata, antigienica e in pessime condizioni. Ha raccontato che le guardie lo hanno picchiato sulle piante dei piedi per fargli confessare di aver aiutato tre uomini a fuggire. La sua esperienza, secondo Human Rights Watch, racchiude gli sforzi, le speranze tradite e le sofferenze dei tantissimi migranti e richiedenti asilo che oggi si trovano in Libia.

Gli alti funzionari delle istituzioni europee sono consapevoli della situazione. A novembre 2017 Dimitri Avramopoulos, commissario europeo per le migrazioni, ha dichiarato: “Siamo tutti a conoscenza delle condizioni terribili e degradanti in cui versano molti migranti in Libia”. Eppure dal 2016 in poi l’Unione (e alcuni stati membri in particolare) ha riversato milioni di euro in programmi per aiutare la Guardia Costiera libica a intercettare le imbarcazioni partite dal paese, ben sapendo che le persone fermate vanno incontro a una detenzione automatica, indefinita e arbitraria, senza alcun controllo giurisdizionale.

L’Italia, che è la nazione europea in cui sbarcano la maggior parte dei migranti salpati dalla Libia, è al primo posto nella fornitura di assistenza tecnica e materiale alla Guardia Costiera libica, e ha rinunciato a ogni responsabilità nel coordinamento delle operazioni di soccorso in mare nel tentativo di arginare gli arrivi sulle sue coste. L’aumento delle intercettazioni compiute dalle unità libiche in acque internazionali, insieme all’ostruzionismo che l’Italia e Malta riservano alle missioni di soccorso gestite dalle Ong, ha contribuito all’ulteriore sovraffollamento e deterioramento delle condizioni nei centri di detenzione.

Come afferma Human Rights Watch, consentire alla Guardia Costiera di intercettare i migranti in acque internazionali e riportarli in Libia, dove li attende un trattamento crudele, inumano o degradante, può configurarsi come favoreggiamento di gravi violazioni dei diritti umani. Gli aiuti forniti dall’UE e dai suoi stati membri ai programmi di assistenza umanitaria per i migranti e richiedenti asilo detenuti e ai progetti di evacuazione e rimpatrio hanno fatto ben poco per risolvere i problemi sistemici della detenzione in Libia, e servono solo a mascherare l’ingiustizia delle politiche di contenimento dell’UE.

Le autorità libiche devono porre fine alla detenzione arbitraria dei migranti e creare delle alternative, migliorare le condizioni nei centri di detenzione e garantire che gli attori statali e non statali colpevoli di violare i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo debbano rispondere delle proprie azioni. Inoltre, devono firmare un memorandum d’intesa con l’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, conferendole il mandato necessario per registrare tutte le persone che necessitano della protezione internazionale, senza limiti di nazionalità.

Le istituzioni e gli stati membri dell’UE devono imporre dei parametri chiari per il miglioramento delle condizioni nei centri libici, preparandosi a sospendere la collaborazione col paese qualora gli obiettivi non fossero raggiunti. Inoltre, devono potenziare le operazioni di ricerca e soccorso delle imbarcazioni europee (comprese quelle delle Ong) nel Mediterraneo centrale, e promuovere con decisione il reinsediamento dei richiedenti asilo e dei migranti più vulnerabili fuori dalla Libia.

I leader europei conoscono bene lo stato delle cose in Libia, ma continuano a fornire sostegno politico e materiale per mantenere in piedi un sistema malato”, sottolinea Sunderland. “Per evitare di rendersi complici di gravi violazioni dei diritti umani, l’Italia e i suoi partner dell’UE dovrebbero ripensare la propria strategia, incoraggiare delle riforme radicali ed esigere la fine della detenzione automatica”.