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I braccianti di Saluzzo #1

di Ilaria Ippolito, Associazione Eikòn - luglio 2017

Photo credit: Federico Tisa

S. ha 29 anni, gli occhi tristi, il volto stanco, un sorriso rassicurante e una gentilezza fuori dal comune. In Casamance, dove è cresciuto, ha sempre lavorato come agricoltore: le sue sono mani forti ed esperte di chi ha sempre raccolto mais e arachidi. A 20 anni arrivano i problemi, Casamance è una piccola e fertile regione del Senegal separata da esso dall’enclave anglofona del Gambia. Questa separazione ha portato ad un conflitto trentennale silenzioso e lacerante a cui S. avrebbe dovuto prendere parte, pena l’uccisione.

Photo credit: Federico Tisa
Photo credit: Federico Tisa



S. non ci sta ma l’alternativa è la fuga lungo una traiettoria ormai tristemente nota: Mali, Burkina Faso, Niger, Libia, Italia. 4 mesi di viaggio e un arrivo in pieno inverno del 2014. Viene portato subito in un centro di accoglienza piemontese dove studia l’italiano e fa un corso per diventare carrellista. Nel 2015 ha l’audizione in Commissione Territoriale, racconta la sua storia nella speranza che l’Italia lo riconosca come un “vero profugo” e gli conceda di restare. Nel frattempo arriva a Saluzzo con suo cugino.

È il 2016, lo incontro che dorme sotto un albero, anche quando piove a dirotto. Mi avvicino, chiacchieriamo, sono piuttosto spaventati e in difficoltà. Di lì a poco trovano lavoro e una sistemazione vicino a Revello. In inverno torna nel centro di accoglienza e il gelo arriva con la risposta della Commissione, la tua storia non è credibile, ma è vera, mi dice S.

Photo credit: Federico Tisa
Photo credit: Federico Tisa



Inizia così il lungo percorso con l’avvocato. Dopo il ricorso in Tribunale che però conferma la decisione della Commissione, S. può ancora fare appello ma l’avvocato lo avverte quando i termini per presentare domanda sono ormai scaduti. Lo scopriamo insieme al campo, a giugno 2017 S. apprende di essere diventato improvvisamente irregolare. Il centro di accoglienza gli dice che non può più stare lì, lui non sa cosa fare. “Ma ho un contratto, il padrone dell’anno scorso mi ha richiamato”, me lo mostra e in effetti è così e la speranza, seppur minima, si riaccende, anche nei suoi occhi.

Si lavora molto in questi giorni per trovare una soluzione; nel frattempo S. vive insieme a suo cugino e ad altre persone a Revello in un alloggio messo a disposizione dal Comune in collaborazione con Caritas. S. non riesce a mangiare, fuma molto, “troppi pensieri” dice, ma mi promette: “quando tutto è a posto mangio bene, ho 29 anni e devo trovare una moglie”.

Testo di Ilaria Ippolito
Foto di Federico Tisa