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Il Piceno brucia di odio razziale

Nella notte di Capodanno incendiata a Spinetoli (AP) una palazzina che avrebbe dovuto ospitare 37 rifugiati

Se il buongiorno si vede dal mattino, il 2018 si annuncia davvero preoccupante sul fronte dell’escalation razzista che si sta velocemente propagando per il Paese e probabilmente peggiore dell’anno appena concluso, che pure può essere considerato tra i più neri e lugubri degli ultimi tempi.

Suona infatti come un funesto presagio l’incendio doloso che nella notte di Capodanno ha completamente devastato una palazzina di tre piani a Spinetoli, piccolo centro marchigiano in provincia di Ascoli Piceno, recentemente restaurata e allestita per accogliere 37 rifugiati nell’ambito di un programma Sprar. Il rogo dell’edificio, per fortuna non ancora abitato, ha praticamente distrutto tutti gli arredi e danneggiato gravemente la struttura, rendendola praticamente inservibile allo scopo cui era stata adibita, vanificando almeno per il momento l’intero progetto.

Ciò che più inquieta, però, è che non si è trattato di un banale atto vandalico, ma di un vero e proprio attentato di matrice razzista, naturale epilogo dell’isterico clima di intolleranza montato negli ultimi mesi e culminato con la manifestazione del 19 novembre promossa dal Comitato Cittadini Spinetoli, il cui portavoce Roberto Pagnoni altri non è che il candidato sindaco del centrodestra sconfitto alle elezioni comunali del 2014 (alla faccia della tanto sbandierata apoliticità).

Una manifestazione pacifica forse nei modi, ma non certo nei toni, che ha visto sfilare in corteo alcune centinaia di persone, compresa una vistosa delegazione dei neofascisti di Casapound, e che ha certamente contribuito a esacerbare ulteriormente gli animi, dando voce a un’accozzaglia umana informe, tenuta insieme solo dalla comune avversione all’accoglienza dei 37 rifugiati.

Una xenofobia che media e istituzioni locali non solo non hanno provato ad arginare, ma che hanno addirittura legittimato: i primi proponendo in alcuni casi servizi al limite dell’avanspettacolo, orientando l’opinione pubblica verso sentimenti anti-migranti (a tal proposito, per i più forti di stomaco si consiglia la visione di questo video), le seconde, in particolare la giunta di centrosinistra guidata dal sindaco del Partito Democratico Alessandro Luciani, tenendo un atteggiamento ambiguo, per usare un eufemismo, che ha finito per favorire le posizioni più oltranziste.

Emblematica, da questo punto di vista, la sua partecipazione in testa al corteo del 19 novembre e il suo successivo intervento dal palco dove spiccava uno striscione dai contenuti inequivocabili: “Troveremo 40 profughi a insidiare i nostri figli davanti le scuole, minando la sicurezza della comunità”.

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Non meno irresponsabile, poi, il comportamento del suo vicesindaco Gianluca Straccia e dei suoi assessori che non hanno esitato ad aggiungere le loro firme alle altre 600 raccolte dalla petizione lanciata dal Comitato per chiedere alla Prefettura di Ascoli di Piceno di bloccare l’arrivo dei migranti.

Di fatto una resa incondizionata sull’altare del consenso e di quel presunto buon senso, invocato a destra e manca per celare, peraltro malamente, l’insofferenza serpeggiante tra la popolazione nei confronti dei migranti. Per farsene un’idea è sufficiente fare una veloce ricerca ricerca su Youtube e ascoltare le tantissime interviste raccolte dalle emittenti locali prima e durante la manifestazione; per
lo più una carrellata dei peggiori pregiudizi razzisti che va dagli espliciti “non ci piacciono” e “tra questa gente ci sono le bestie” alla preoccupazione di mamme e nonne per figlie e nipotine inermi, dalla necessità di “difendere il nostro stile di vita” alla volontà di “essere padroni in casa nostra”, fino ai vari e ben noti cliché sul presunto business dell’immigrazione.

Ecco perché oggi è possibile affermare che quanto accaduto a Spinetoli non può e non deve sorprendere. E onestamente suscitano solo disgusto le lacrime di coccodrillo di coloro che oggi si affannano a prendere le distanze e a denunciare “l’inqualificabile gesto”, come quei grotteschi soggetti che hanno animato in questi mesi il Comitato.

Ma chi pensasse che il rogo consumatosi in via Tevere possa in qualche modo aver generato un’inversione di tendenza nella coscienza della maggior parte della popolazione resterà deluso. A parte le timide prese di posizione di circostanza, quasi sussurrate sottovoce, nella piccola comunità non è maturato alcun ripensamento, né sul merito della questione, né sul metodo con cui è stata affrontata. In questo momento, semmai, a regnare è la miserabile omertà di paese, quella meschina e codarda che si genera sempre in simili situazioni, dove nessuno ha visto né sentito nulla.

Ma neppure questo meraviglia, perché gli episodi di razzismo verificatisi negli ultimi anni pongono ormai il Piceno ben oltre il livello di guardia per quanto concerne la difesa della democrazia, la tutela dei diritti e l’esercizio sostanziale dei valori dell’accoglienza, della solidarietà e dell’inclusione sociale. Un territorio divenuto universo a sé, anche tenendo conto del pessimo clima generale che si respira in tutta Italia, profondamente trasfigurato dalla propaganda dell’odio, alimentata con stereotipi, luoghi comuni e falsità di ogni genere, che ha reso le persone incapaci di leggere la reale portata dei fenomeni che le circonda, fino a giustificare comportamenti degni solo del Ku Klux Klan.

Non si dimentichi che a poche decine di chilometri da qui, a Fermo, appena un anno e mezzo fa, al culmine di un’aggressione, tanto brutale quanto gratuita, si consumò l’assassinio del giovane rifugiato nigeriano Emmanuel Chidi Namdi per mano dell’italianissimo Amedeo Mancini. Lo stesso Mancini che, dopo un’oscena campagna innocentista a suo favore e un ridicolo andirivieni dal carcere durato per mesi, ma che lo ha visto trascorrere dietro le sbarre appena qualche giornata, proprio il 31 dicembre scorso è stato nuovamente rimesso in libertà. E come dimenticare l’assurda storia svelata da Melting Pot riguardante il Cas “nero” di Carpineto, sempre ad Ascoli, dove ai migranti veniva regolarmente somministrato olio di ricino? Vicenda, anche questa, seppellita nella totale indifferenza della politica locale e della cosiddetta società civile.

Purtroppo siamo costretti a ripeterci, consapevoli del rischio che il passare del tempo renda tutto più difficile: senza una radicale inversione di rotta, politica e sociale, che riconosca la società multiculturale come un valore assoluto e tolga legittimità d’azione ai fomentatori di odio che prosperano sull’intolleranza e la paura, resta solo il baratro di un delirio razzista che, con appena qualche sfumatura, non ha più distinzione né di classe, né di età, né di colore politico.

Simone Massacesi

Vivo ad Ancona e mi sono laureato in Storia contemporanea all’Università di Bologna. Dal 2010 sono giornalista pubblicista.