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Il Sahara, un inferno per i migranti espulsi dall’Algeria

Marco Wolter e Sertan Sanderson, InfoMigrants - 19 aprile 2019

Photo credit: picture-alliance/AP Photo/J. Delay

La famiglia Sangaré è sfuggita per poco alla morte. Come molti altri migranti, Said Sangaré, sua moglie Fatumata e il loro figlioletto Mohamed si sono ritrovati nel deserto del Niger dopo essere stati ricondotti alla frontiera dalle autorità algerine.

La famiglia guineana è stata abbandonata senza acqua e senza cibo sotto i 40 gradi.
Devono la loro sopravvivenza esclusivamente a una squadra di salvataggio dell’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le migrazioni, che li ha trovati prima di portarli in un centro di transito ad Agadez, la più grande città del Niger. Sono passati tre anni. Ma tutti i migranti espulsi non hanno avuto la stessa fortuna.
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“Ci hanno preso tutto”

Said Sangaré, 32 anni, ricorda questa dolorosa esperienza. In un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa EDP, il guineano racconta come le autorità algerine siano andate senza preavviso nella sua abitazione per arrestare sua moglie e il suo bimbo di 7 mesi, mentre lui stava lavorando in un cantiere edile ad Algeri.

La polizia ha forzato la porta e rubato quasi tutto ciò che la famiglia possedeva, secondo Fatumata Sangaré. La giovane donna di 26 anni spiega che a parte i vestiti che indossavano quel giorno non potevano prendere nient’altro.

Nostro figlio non portava neanche i pantaloni, soltanto una t-shirt e il suo pannolino”, sottolinea Fatumata. Poco dopo questo raid, la polizia si è recata nel cantiere in cui lavorava suo marito per arrestarlo a sua volta.

Ci hanno preso tutto” racconta il guineano. Anche il denaro che erano riusciti a mettere da parte durante i tre anni passati in Algeria, quasi 5.000 euro. “Il mio piano era di cominciare una nuova vita nel mio paese con quei soldi”.
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Lasciati morire nel deserto

La famiglia Sangaré è stata portata insieme ad altri migranti a Tamanrasset, nel sud dell’Algeria. Tra di loro, alcuni sarebbero stati picchiati brutalmente dalla polizia locale, spiega Said.

Di seguito, tutti sono stati deportati senza acqua né cibo nel “punto zero”, un luogo al confine col Niger, prima di essere forzati ad attraversare la frontiera, delle volte sotto la minaccia delle armi. Da lì, Assamaka, il villaggio più vicino si trova a 15 chilometri, ma sotto il calore soffocante del deserto, molti non riusciranno a raggiungerlo.

Janet Kamara, un liberiano espulso anch’egli dall’Algeria, nel luglio del 2018 ha spiegato all’agenzia AP, che “corpi di donne e uomini morti giacevano al sole. Altri si sono perduti nel deserto perché non conoscevano il cammino. Io ho perso mio figlio, il mio bambino.

Aliou Kande, un senegalese di 18 anni, racconta che “alcuni non ce la facevano a continuare. Si sono seduti e li abbiamo lasciati dietro noi. Soffrivano troppo.”

Per il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti dell’uomo dei migranti, “le espulsioni collettive dall’Algeria verso il Niger violano totalmente le leggi internazionali”. Felipe González Morales ha così richiamato l’Algeria “per cessare immediatamente” queste espulsioni.

Photo credit: picture-alliance/dpa/F. Batiche
Photo credit: picture-alliance/dpa/F. Batiche

“Minaccia per la sicurezza interiore”

L’OIM ha aperto degli uffici nel villaggio di Assamaka. Non è così raro che l’organizzazione si ritrovi ad accogliere più di un migliaio di migranti allo stesso tempo.

Quando queste pratiche d’espulsione sono state adottate come “misure d’urgenza” nel 2017, il ministro algerino per gli Affari Esteri aveva qualificato i migranti subsahariani come “una minaccia per la sicurezza interna” provenienti da “una mafia organizzata”. Abdelkader Messahel allo stesso tempo aveva giustificato la sua azione assicurando che le espulsioni erano praticate da altri paesi “compresi i paesi europei”.

A questo clima di sospetto, Said Sangara aggiunge che i migranti e i rifugiati in Algeria sono spesso vittime di razzismo. “Nelle strade di Algeri, andando a lavoro, dei bambini ci lanciavano regolarmente delle pietre contro”.
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Nel 2018, sono state 25.000 le persone espulse dall’Algeria verso il Niger, compresi migranti africani che disponevano di visti lavorativi in regola e rifugiati che si trovavano legalmente sotto la protezione delle autorità algerine.

Secondo l’agenzia ONU, nel 2018, 15.000 persone hanno fatto ricorso all’aiuto dell’OIM per rientrare nel loro paese di origine, ossia un numero di persone dieci volte superiore al 2015. Secondo l’agenzia AP, la maggior parte dei migranti espulsi verso il Niger proviene dal Mali, dalla Gambia, dalla Guinea e dalla Costa d’Avorio. Inoltre, il Niger fa fronte anche al flusso di persone espulse dalla Libia.

Si può dire che il piano dell’Unione Europea di limitare i flussi migratori verso l’Africa del Nord ha funzionato”, stima Martin Wyss, capo dell’OIM in Niger e intervistato dall’agenzia EDP. “Ma questo ha aggiunto ulteriore lavoro all’OIM, dato che molte delle persone vogliono ormai lasciare queste aree dell’Africa del nord e dipendono dal nostro aiuto per rientrare”.