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Italia-Tunisia. Accordi tra repressione e falsità

Sei testimonianze che fanno chiarezza su tre situazioni verificatesi tra ottobre 2017 e gennaio 2018

Abbiamo voluto mettere insieme sei testimonianze su tre situazioni verificatesi tra Ottobre 2017 e Gennaio 2018, perché i fatti sono stati oggetto di una cronaca che li ha narrati come scissi e circoscritti, e che acriticamente, non solo non li ha presi in esame come interconnessi, ma li ha ricostruiti sull’unica base della versione che ne hanno dato le autorità.

La modalità del racconto li ha fatti percepire come estemporanei, ne ha quindi ridimensionato l’impatto, e nel privarli di qualunque approfondimento, li ha resi facilmente derubricabili, come pure ha semplificato la diffusione di dichiarazioni falsificanti perché ha ristretto l’ambito di confutazione delle stesse alle circostanze, escludendo sistematicamente di dar conto dell’orizzonte in cui gli episodi si sono inscritti.

Lo speronamento intenzionale della Marina Militare Tunisina ai danni di una barca di migranti l’8 Ottobre 2017, che ne uccide 52; l’omicidio di un manifestante a Tebourba il giorno 8 durante le proteste di questo Gennaio; il suicidio di un ragazzo tunisino trattenuto a Lampedusa il 5 Gennaio 2018.

Nelle prime due circostanze, l’uso letale della violenza da parte delle forze dell’ordine dimostra la condizione attuale della transizione democratica in Tunisia, mentre la terza, dovrebbe forse dirci qualcosa sui valori democratici dell’impianto legislativo dei Paesi Schengen.

In Tunisia, nel 2015, episodi di terrorismo hanno giustificato la revisione di un’apposita legge del 2003, e fornito l’occasione per presentare il disegno di legge n°25 sulla repressione degli attacchi alle forze armate in cui, nell’interesse della sicurezza nazionale, si puniva con anni di carcere ed esose pene pecuniarie, ogni interferenza con l’attività delle forze dell’ordine, compresa l’umiliazione, la diffamazione, l’insulto, l’offesa, la diffusione di foto, video e informazioni. Come se, sempre nel 2015, il rapporto del Centro Tunisino per la Libertà di Stampa non avesse già attestato 450 casi di giornalisti vittime di aggressioni delle forze dell’ordine in relazione all’esercizio della professione.

La contestazione al disegno di legge è stata forte, perché anche Ben Alì si era servito di formule simili per liberarsi degli oppositori: da un lato criminalizzazione del dissenso, dall’altro immunità per le forze di sicurezza.
Il 13 Luglio 2017, l’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo ne ha ripreso la discussione. Il 13 Settembre 2017 intanto, veniva approvata l’amnistia per gli alti funzionari implicati con Ben Alì nella mala gestione delle finanze pubbliche, e la possibilità di riabilitazione con il pagamento di una pena pecuniaria per quelli coinvolti in appropriazione indebita e corruzione.

Alla proposta di legge n°25 si dà giustificazione con le 80 morti di agenti di polizia e militari verificatesi dalla rivoluzione ad oggi, anche se in realtà sono state causate da atti di terrorismo. Si tira in ballo la rivoluzione anche se le forze dell’ordine compirono massacri, tanto che i morti civili furono 338 e i feriti 2147, mentre delle 80 vittime va ribadito che è una quella caduta durante le manifestazioni dei cittadini, ed è successiva alla presentazione del disegno di legge, Kasserine 2016.

Nel 2012 invece, a rivoluzione conclusa, due donne del Governarato di Silana uscite per fare la spesa durante una manifestazione, sono state colpite dalle forze dell’ordine con pallettoni da caccia. Il 27 Luglio 2013 a Gafsa, un militante muore ad una marcia colpito da un lacrimogeno. Nel 2017, il 22 Maggio a Tataouin, un dimostrante muore investito da un automezzo delle forze dell’ordine. Le autorità dichiareranno che l’automezzo faceva manovra: incidente.

L’8 Ottobre 2017, i militari tunisini speronano una barca di migranti causando la morte di 52 persone , ma dichiareranno che la barca gli è andata addosso.
L’8 Gennaio 2018 a Tebourba, un manifestante viene investito e ucciso, ma dichiareranno che era un asmatico soffocato per essersi esposto ai lacrimogeni. Sui circa 930 arresti compiuti nei giorni della protesta, nessuna dichiarazione. Sui fermi, gli interrogatori e il sequestro di materiali ai danni di giornalisti esteri, la dichiarazione è che i media stranieri stanno ingigantendo il problema.

Il 5 Gennaio 2018, un cittadino tunisino trattenuto nell’Hot Spot di Lampedusa dal mese di Ottobre si è tolto la vita impiccandosi. E anche se nel 2015 la Corte Europea dei diritti umani condannava l’Italia per la detenzione arbitraria, i trattamenti inumani e le espulsioni collettive, ribadendo una seconda volta la sentenza nel 2016 a seguito del ricorso 1; e nonostante il garante dei detenuti in visita a Lampedusa il 24 Gennaio dichiarerà che le condizioni dell’Hot Spot permangono identiche a quelle già condannate, anche sulla sorte di questo ragazzo, le dichiarazioni rese dalle “autorità”, saranno coerenti con le precedenti che sempre smentiscono responsabilità e pertanto: il ragazzo era schizofrenico.

Le interviste

8 ottobre 2017, speronamento intenzionale di una barca di migranti da parte di un’ unita navale militare tunisina

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3


8 gennaio 2018, scontri a Tebourba nel racconto di Bilel, un manifestante

Capitolo 4


5 gennaio 2018, il suicidio di un migrante tunisino a Lampedusa. L’intervista a Giacomo Sferlazzo di Askavusa

Capitolo 5

Capitolo 6

Le traduzioni in tunisino

– L’introduzione di Monica Scafati: http://bit.ly/2C48vWs
– Le interviste a Giacomo Sferlazzo: http://bit.ly/2CqifWC e http://bit.ly/2Cp0DKP

  1. I trattenimenti illegittimi all’interno degli hotspot alla luce della sentenza della Corte EDU sul caso Khlaifia v. Italia: la politica della detenzione continuawww.meltingpot.org/I-trattenimenti-illegittimi-all-interno-degli-hotspot-alla.html ndr.