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L’esercito dei minori fantasma, il dramma silenzioso

Foto tratta dal rapporto "I minori stranieri non accompagnati lungo il confine settentrionale italiano" realizzato da Intersos

Normative e frontiere, muri e respingimenti, in una sola parola: chiusura.

Nell’ultimo anno, facendo leva sulla giurisdizione, gli sbarchi sul suolo italiano sono diminuiti sostanzialmente: causa leggi create ad hoc ed accordi discutibili con paesi terzi ritenuti sicuri in maniera assai discutibile.

E’ infatti chiaro che nazioni come Turchia, Egitto e la confusionaria Libia, non possono essere etichettate in tal modo.

Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale1: in tal senso, l’accordo bilaterale con l’Egitto del 2007, quello con la Turchia del 2016 e quello con la Libia del 2017 dimostrano tutta la propria fragilità e contraddizione. Viene meno, nella sua genesi, il punto cardine del concetto di “Paese terzo sicuro” su cui si poggia la stipula di una qualche forma di intesa.

Questo modus operandi è tipico in primis dell’Unione Europea, come visto in recente passato, ed è un triste tratto dei Paesi UE di oggi: per diminuire gli sbarchi viene scaricata la responsabilità su paesi antidemocratici. In cambio vengono versate ingenti somme di denaro.

Su questo versante basti pensare all’intesa raggiunta da Angela Merkel con Al Sisi, a cui si accoderanno probabilmente le altre nazioni europee: bloccare i migranti in Egitto, non farli salpare nel Mediterraneo, in cambio di soldi ed aiuti economici allo Stato cofirmatario.

Premettendo che stipulare un accordo con Al Sisi è quando di più stridente possibile, visto il regime sanguinario creato al suo interno 2, appare altresì sconcertante pensare alle migliaia di migranti intrappolati in Egitto ed impossibilitati a dare un senso ed un termine al proprio progetto migratorio.

In Egitto, come riporta OIM, sono presenti: 130.300 siriani, 38.133 sudanesi, 15.204 etiopi, 14.359 eritrei, 12.942 sudsudanesi e quasi 22.000 persone di Iraq, Somalia e Yemen.

Una marea umana intrappolata non dalla burocrazia, non dalla legge, bensì dall’indifferenza di Bruxelles.

La chiusura delle porte del giardino europeo è tratto distintivo comunitario e poi nazionale.

Metaforicamente, i giardinieri europei versano insetticida a dismisura rovinando le piante al suo interno ed intossicando i frutti. Il tutto in nome di fantomatici batteri creati dalle paranoiche e ristrette visioni dei propri leader.

Il risultato è la paura dell’invasione dello straniero, smentita a più riprese dai numeri. Gli arrivi dei migranti in Europa sono diminuiti notevolmente: restano intrappolati nelle prigioni turche, in quelle egiziane, nel Sudan ed in altre celle quanto violente quanto ingiustificate.
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A livello italiano, la tendenza è uguale:
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Chi sfugge a questa logica ed a queste statistiche, sono i minori stranieri non accompagnati: i loro sbarchi sono diminuiti, ma non nelle percentuali dei maggiorenni.
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I MSNA rappresentano l’emblema della migrazione stessa, la disperazione e la pressione esasperante di raggiungere l’obiettivo primario: avere denaro da mandare ai nuclei familiari rimasti nella terra origine.

E’ chiaro che avere una spada di Damocle sulla testa così grande ad una così giovane età, aggiunta ai traumi incorsi durante il viaggio, è una bomba ad orologeria.

I rischi più gravi che incorrono sono quattro:
– lasciare il sistema di protezione statale per adoperarsi immediatamente nella ricerca di un lavoro;
– abbandonare dal principio gli studi e lasciarsi circuire da promesse di cartapesta;
– ricevere false promesse dai datori di lavoro circa il permesso per motivi lavorativi: sono quindi ricattabili per lunghi periodi di tempo;
finire in strade delinquenziali.

Capita spessissimo, infatti, di ragazzini che iniziano il progetto SPRAR e si danno alla macchia a causa delle famiglie di origine che pressano come un martello pneumatico il soggetto per trovare un lavoro nell’immediato.

Qui si apre un circolo vizioso: il ragazzino che esce dal circuito di protezione statale viene assoldato da datori di lavoro senza scrupoli. Quest’ultimi possono ricattare facilmente il minorenne, peraltro spesso neanche pagato con la scusa della messa alla prova.

Nel momento in cui, infatti, il permesso di soggiorno volge alla scadenza, è facile per il datore di lavoro avere il coltello dalla parte del manico: la speranza di tramutare il permesso ordinario in permesso di lavoro diventa l’arma ricattatoria del titolare. E non si tratta soltanto imprenditori italiani, ma spesso e volentieri di connazionali del migrante.

Questo modus operandi, nel caso venisse cancellata la protezione umanitaria, aumenterà a dismisura, creando un circolo vizioso di speranze non mantenute e sfruttamento: il migrante diventa completamente ricattabile.
Ultima via, la strada delinquenziale.

Lo spaccio di stupefacenti è prerogativa, in moltissimi quartieri di Roma, di bande di giovanissimi gambiani ed egiziani strumento della micro-criminalità o della mafia.
Oppure, lo sfruttamento sessuale: sono moltissimi i bambini e le bambine che sono preda e vittime di questo circuito.
I MSNA in Italia al 30/09/2018 sono 12.112, il 92,6% sono di sesso maschile.
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Le cittadinanze che maggiormente rappresentano i MSNA in Italia sono Albania, Gambia ed Egitto.
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Il minorenne che arriva in Italia non ha intenzione di aspettare anni per il permesso di soggiorno, non ha intenzione di accontentarsi del pocket money, non ha intenzione di passare attraverso tirocini e basse aspettative lavorative. Non ha la possibilità di studiare, e non perché non lo voglia, ma perché non può.

Ha un mandato, un compito ed un ruolo.

Mandato: guadagnare. Compito: sostentamento del nucleo familiare. Ruolo: nuovo capo famiglia.

Un trio di mansioni che unite comportano un fardello di responsabilità giganti.
Gli egiziani vengono assoldati dai propri connazionali nel Nord Italia: kebbabari, manovali, muratori o nella ristorazione. I turni lavorativi sono sfiancanti, arrivano a lavorare anche quattordici o quindici ore al giorno.

Sono inseriti repentinamente nel mondo del lavoro nero e dello sfruttamento minorile: la speranza è di ottenere, prima o poi, un permesso di lavoro. A questo si lega l’aspettativa utopistica di essere regolarizzati.

Chi rimane a Roma per il proprio sostentamento ha, spesso, come ripiego lo spaccio. I MSNA sono sotto tiro della malavita. Anche i gambiani s’inseriscono in questo mondo.

Chi rimane fuori da questo circuito viene accalappiato dai magnaccia: stazioni ferroviarie e strade provinciali diventano luogo di sfruttamento della prostituzione minorile.

Finire in strade pericolose comporta il rischio fortissimo di macchiare la fedina penale.

I ragazzini di Gambia, Egitto ed Albania stanno imboccando strade oscure, sono incanalati in tunnel bui senza uscita.

Sono pedine inermi. Il minorenne è vittima, mai carnefice.

E se da un lato diminuisce, in generale, la presenza di migranti e MSNA in Italia, non si può dire lo stesso dei minorenni gambiani ed egiziani in carico ai Servizi Sociali: è la testimonianza di una situazione sempre più critica e difficile.

Il numero, infatti, è destinato a superare ampiamente quello del 2017.
Anno 2018, soggetti in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni 3 (aggiornato al 15 settembre 2018):
Egitto 266, Gambia 309 (+123 rispetto al 15/09/17), Albania 495 (+27 rispetto al 15/09/2017).

I reati dei minorenni stranieri sembrerebbero testimoniare una scarsa attenzione verso il fenomeno e un’assenza di processi inclusivi reali.
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Sono numeri spaventosamente alti, specie se rapportati a quelli dei minorenni italiani.

E’ chiaro che il numero dei reati dei minorenni italiani è superiore a quello degli stranieri: tuttavia il numero di azioni illegali degli autoctoni ha uno scarto assolutamente minimo confrontato a quello dei non-italiani.

In proporzione, per un minorenne straniero è molto più semplice finire in vie delinquenziali.

I reati hanno, rispetto agli autoctoni, distanze minime: furto 5.329 (-1.467 rispetto agli italiani), rapina 1.763 (-1.457), lesioni personali e volontarie 1.617 (-2.240) , ricettazione 931 (-720) , stupefacenti 986 (-3.673) e resistenza a P.U. 883 (-741).

Il quadro che emerge è drammatico.
Un esercito di minori fantasma che finisce in strade poco raccomandabili, costruite ad hoc da adulti che hanno come unico obiettivo lucrare.

Un sistema di protezione verso i minorenni che è fallimentare: non solo a causa delle interferenze esterne della malavita, ma anche per mancanze strutturali del sistema di accoglienza.

Se moltissimi MSNA diventano invisibili ed irreperibili ha una gran colpa anche il sistema di integrazione ed accoglienza italiana, che non riesce di fatto ad intervenire qualitativamente in maniera adeguata.

E interventi strutturalmente deboli ed inefficaci comportano la perdita di moltissimi bambini: perdita intesa a trecentosessanta gradi.
Perdita fisica: non si sa dove finiscono.
Perdita psicologica: il mancato intervento difatti non permette la tutela della psiche del minore già duramente provata dal viaggio.
Perdita completa: il piccolo è in altre mani, non docili e non dolci.

I minori risultati irreperibili, ad oggi, sono 5.178.

Un numero enorme se comparato ai MSNA presenti nel nostro Paese.

Di fatto, un esercito di bambini fantasma di cui non si sa nulla, spariti nel nulla. Volatilizzati o rinchiusi in qualche gabbia malsana.

Succede infatti che:
– escono nell’immediato dai Centri di Accoglienza Straordinaria senza passare neppure dagli SPRAR. Poca informazione circa le tempistiche sull’ottenimento dello status unito a poca chiarezza circa l’iter da seguire portano il minorenne al tentativo di bruciare le tappe: il tempo di attesa è troppo, la necessità di guadagno impellente.
– se arrivano, fuoriescono dal Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, scoraggiati dalla difficoltà di entrare celermente nel mondo del lavoro. Lo studio non è prerogativa del MSNA: la volontà di andare a scuola, nonostante sia forte, è schiacciata dalle pressioni generate dalla necessità di sostentamento del nucleo familiare rimasto in patria. Il minorenne quindi abbandona i sogni del diploma; il più delle volte è un sogno troppo utopistico quando fratelli e sorelle muoiono di fame nei paesi di origine. Il desiderio s’inchina al dovere.

Il quadro che emerge sembrerebbe quello di un sistema non in grado ancora di rispondere alle reali fisionomie odierne, almeno per quanto concerne i minorenni.
Un sistema spesso acritico, malnutrito, scarno, che ancora oggi non è in grado di dare una concreta e reale risposta alla esigenze dei bambini che sopraggiungono nel nostro Paese.

Sapere accogliere equivale ad adattarsi anche ai fenomeni in corso, essere un po’ come un panetto di Das, sapersi modellare per venire incontro a chi arriva. Servono interventi strutturali, interventi macroscopici.

Nonostante alcuni sforzi normativi, nonostante l’impegno di alcune eccellenti esperienze, la risposta istituzionale alle migrazioni dei minori e dei MSNA appare ad oggi insufficiente.

Naturale e fisiologica s’insedia forte la preoccupazione, specie se si pensa alla normativa degli ultimi anni, che di fatto ha rivendicato ed ottenuto la salvaguardia dei diritti dei minorenni: ad oggi tutto questo appare nuovamente in bilico con i decreti recenti.

L’ordinamento ed i vari sistemi attuali si sono scontrati con il dramma sconfinato dei MSNA.

La normativa nazionale si è posta all’avanguardia per quanto concerne la tematica dei minori, si è eretta ad esempio per enti e sistemi di protezione: ma quegli sforzi passati sono destinati a sparire con le recenti leggi.
E a subirne le conseguenze peggiori sarà quel un esercito di fantasmi destinato ad aumentare esponenzialmente, con tanto di guadagno per associazioni criminali di stampo mafioso.

Senza fare finta retorica, spesso gioverebbe un minimo di autocritica da parte di tutti: i minorenni stranieri egiziani, ed è un esempio, nella maggioranza disertano la scuola.

L’intervento per invertire la rotta è nullo.

La dispersione scolastica, tra stranieri ma anche tra gli italiani, è una piaga mal combattuta nonché sottovalutata su tutti i livelli: da quelli istituzionali a quelli sociali.

Il fronte comune per battagliare questa situazione è spesso inefficace ed insufficiente.

Sono arrivato in Italia nel 2013. Era chiaro che la fantomatica rivoluzione egiziana si sarebbe sgonfiata come un palloncino e sarebbero saliti i militari.
Avevo sedici anni. Ho avuto molta paura, perché abbandonavo la mia famiglia ed ero solo: ma i miei fratelli e le mie sorelle pativano la fame.
Arrivato in Italia sono scappato dal centro di accoglienza. Anche senza parlare l’italiano era facilmente intuibile che per il permesso ci sarebbero voluti mesi, che il massimo che potevo avere era la scuola. Il mio sogno è studiare, ma è troppo lontano dalle mie reali necessità. Dalle necessità della mia famiglia.
Voi non capite: quando hai quattro, cinque persone da sfamare, cosa t’importa di prendere un diploma? Cosa t’importa ricevere il pocket money?
Con quelli non sfami la tua famiglia.
Lì mi dicevano di aspettare. Quanto? Chiedevo io. Un paio di mesi e poi vediamo.
Io dei “poi vediamo” non ci faccio niente.
A volte siete lontani dalle reali necessità che abbiamo.
E’ tutto fantastico, tutto bellissimo, ma io qui non sono venuto per giocare.
Non posso.
Se non è venuto mio padre ma sono venuto io, non è perchè mio papà è un pazzo.
Non è perché è un cattivo padre.
E’ perché lo ridate al regime dopo due mesi, ed oltre il danno la beffa: se ne torna e lo mettono in qualche carcere de Il Cairo perché ha tentato di emigrare.
Io ero minorenne, ero più protetto. L’accordo voi l’avete fatto, non io.
Sono dovuto partire io.
Ho avuto la fortuna di lavorare in un ristorante dopo poco tempo. Adesso sono caposala, guadagno non tantissimo, lavoro spremuto come un limone, ma i miei familiari mangiano.
I miei amici hanno scelto altre strade. Alcuni vengono messi in contatto con connazionali col permesso di soggiorno, che vivono al Nord: li fanno lavorare nei negozi di kebab, ai cantieri, come manovali. Lavorano dalle cinque di mattina alle otto di sera.
C’è chi va a lavorare con la febbre.
Non hai un giorno di ferie.
Io ero disposto a tutto per lavorare. A tutto.
A Roma molti finiscono in giri di prostituzione. Nelle stazioni è molto frequente. Ed è molto frequente che signori maturi li sfruttino.
Guarda, sappi che se noi veniamo in Italia non è perché ci piace. Il viaggio ha un rischio elevatissimo. Non è perché le famiglie sono cattive. Non è perché mia mamma non mi vuole bene.
E’ il sacrificio degli accordi fatti da molte nazioni col mio Paese.
Voi da un paio di anni sapete cos’è il regime di Al Sisi: succede ogni giorno, in Egitto. Basta un fraintendimento, una parola in più, e ti ritrovi a marcire coi topi nelle carceri se ti va bene. Altrimenti ti torturano talmente tanto da crepare di dolore.
Io non ho paura per me. Del generale non me ne frega niente. Lui non mi rappresenta.
Ma ho paura della mia famiglia, quello si.
Durante le elezioni ha costretto i miei genitori a votare, se non lo facevano li avrebbe ammazzati di botte e tagliato pensioni o stipendi. C’ha promesso riso, viveri. False promesse.
Ha comprato voti per questi, guarda: per venti centesimi. Ti rendi conto per mamma e papà cosa vuol dire avere i miei cinquanta euro? Lo capisci?
“.

FONTI:
Ministero dell’Interno, UNHCR

  1. Senato della Repubblica, 17a Legislatura, Dossier n°4, Dossier Europei
  2. https://www.meltingpot.org/Egitto-le-politiche-di-Al-Sisi-ed-i-minori-che-se-ne-vanno.html
  3. https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/quindicinale_15.09.2018_ok.pdf

Pietro Giovanni Panico

Consulente legale specializzato in protezione internazionale ed expert prevenzione sfruttamento lavorativo. Freelance con inchieste sui MSNA, rotte migratorie, accordi illegittimi tra Paesi europei ed extra UE e traffici di armi.
Nel 2022 ho vinto il "Premio giornalistico nazionale Marco Toresini" con l'inchiesta "La guerra dei portuali genovesi contro le armi saudite".