Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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L’evoluzione della cittadinanza negli ordinamenti giuridici italiano e spagnolo: un passo verso il cosmopolitismo

Tesi di laurea di Anthinea Interbartolo

Photo credit: Vanna D'Ambrosio

Abstract

Per comprendere le ragioni che stanno alla base della crisi che sta oggi vivendo l’istituto della cittadinanza, bisogna partire dalla constatazione della tendenza esclusiva che traspare all’interno della legge sulla cittadinanza italiana, la l.91 del 1992, intitolata Nuove norme sulla cittadinanza, per poi spostarsi in una prospettiva multilivello sulla tendenza inclusiva cui si aspira sia a livello europeo, in attuazione del Programma europeo 2014/2020, sia a livello nazionale nei numerosi tentativi di riforma culminati nella presentazione della proposta di legge n. 2092 del 2015.

Si è sviluppata una concezione reticolare dei rapporti tra i diversi livelli legislativi, che ha creato dei problemi di coordinamento ai fini dell’interpretazione della normativa da applicare al caso concreto. In caso di antinomie si applica il criterio della maggior protezione ex art.53 della Carta di Nizza, e quindi la norma che offre la tutela più favorevole, salva la teoria dell’europeizzazione dei controlimiti e l’applicazione del principio di personalità. Per superare questa concezione e conseguentemente la crisi della cittadinanza sarebbe auspicabile, oltre ad un riordino sistematico all’interno di un unico testo legislativo della disciplina sparsa in diverse fonti legislative e regolamentari, l’avvio di un processo di armonizzazione ad un livello sovranazionale attraverso la previsione di regole di accesso della cittadinanza omogenee ed uniformi nei confronti degli stranieri assimilabili, in quanto si trovano in situazioni analoghe. L’obiettivo cui si tende è quello di creare un modello di democrazia cosmopolita in grado di bilanciare l’interesse all’integrazione dell’individuo e al mantenimento dell’equilibrio interno dei singoli Stati.

Dopo aver analizzato la crisi sotto un duplice profilo, rispettivamente giuridico e sociologico, si è messa in luce sotto il primo profilo l’inadeguatezza della legislazione nazionale nel regolare la posizione giuridica dello straniero, che vuole far valere il proprio legame effettivo con una comunità di accoglienza in virtù del principio di territorialità o della contiguità del luogo di residenza: in primo luogo per la previsione quale criterio di acquisto della cittadinanza di un criterio elitario e discriminatorio, quello dello ius sanguinis che prevede la trasmissione da padre in figlio, e solo in via residuale e al verificarsi di circostanze eccezionali quello dello ius soli che valorizza la nascita in un determinato territorio e il raggiungimento di un giusto grado di integrazione con quel territorio.

Non si possono imputare al minore le inadempienze di cui sono responsabili i genitori, a tutela della sua dignità personale ex art.7 dei Patti sui diritti civili e politici. Nonostante l’inadeguatezza la legge è conforme al principio di diritto internazionale che demanda al monopolio dei singoli Stati (art.117.2 indica la cittadinanza tra le materie di competenza esclusiva dello Stato) la determinazione dei criteri di acquisto della cittadinanza; tale monopolio è condizionato da un lato al rispetto dei vincoli derivanti dal diritto e degli obblighi internazionali in forza della riserva di legge rinforzata prevista dagli artt.10 e 117.1 Cost. Altro aspetto che accentua la crisi è la mancata regolamentazione a livello nazionale di chi è riconosciuto come apolide, cui sopperiscono a livello internazionale le Convenzioni del 1954 e del 1961, in base al principio ubi lex non distinguit, non est distinguendum.

Sotto il profilo sociologico, fortemente influenzato dal primo, la crisi investe l’idea di appartenenza in senso esclusivo nella sua dimensione orizzontale basato su uno stretto rapporto tra individuo e comunità in cui sceglie consapevolmente di vivere in favore di un’idea di appartenenza inclusiva, resa esplicita dalla teoria dei c.d. multiple demoi, che non esclude che un soggetto possa contestualmente o alternativamente far parte di più comunità come quella nazionale e quella europea, dal quale discende il possesso di uno status di cittadino europeo, che si aggiunge a quello di cittadino di uni degli Stati Membri. Si è manifestato all’interno del nostro paese un atteggiamento impermeabile all’apertura verso la società cosmopolita, non rispondente agli obiettivi proclamati a livello comunitario in una direzione inclusiva e antropologica.

Le istituzioni europee, vista la crescente interdipendenza delle politiche migratorie, dovrebbero promuovere politiche di integrazione culturale su base regionale tra Stati polietnici appartenenti a zone del mondo omogenee e geograficamente contigue, per superare la frammentazione del diritto vigente. Bisogna distinguere due sfere di dritti di cui gode l’individuo: quelli che spettano a tutti gli appartenenti ad un gruppo a titolo particolare e quelli che spettano a tutti gli individui a titolo universale. Si delinea una dicotomia tra diritti fondamentali della persona e diritti del cittadino all’interno di un sistema di tutela dinamico regolato da fonti di natura legale e giurisprudenziale ex art.6. Le lacune interne alla Costituzione potrebbero essere integrate attraverso il catalogo flessibile e aperto dei diritti cristallizzati nella Carta di Nizza, nei limiti di competenza dell’Unione.

Nell’ambito dell’ordinamento italiano quindi si vuole favorire l’integrazione dell’individuo in senso tollerante ma limitato al rispetto reciproco da parte dello Stato delle specificità delle etnie che si integrano all’interno della comunità di accoglienza e da parte dell’individuo di conformarsi ai valori identificativi di una cultura madre, previa verifica della compatibilità del proprio modo di essere con quello della comunità ricevente. Prevale una visione liberale aperta all’integrazione delle culture figlie.

Questo modello attuabile in concreto è lontano dal modello astratto MIDU, espresso attraverso la metafora dell’albero, che mira a garantire la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Al crescere della popolazione di origine straniera, all’emergere delle nuove generazioni di residenti non fanno seguito forme di rappresentanza, al di là di espressioni simboliche come i consiglieri comunali aggiunti, in virtù del principio della parità partecipativa.

Nell’ambito dell’ordinamento spagnolo ha suscitato la mia attenzione il trattamento discriminatorio, senza alcuna giustificazione logica, riservato alla popolazione del Sahara Occidentale. Lo Stato spagnolo ha una responsabilità storica nei confronti del Sahara per il vergognoso abbandono a seguito degli Accordi Tripartiti di Madrid.

Il Sahara, ex colonia africana della Spagna, occupa una posizione anomala di debolezza e instabilità, a metà strada tra l’esercizio del diritto all’autodeterminazione a questi negato e il trasferimento della sovranità al Marocco; a causa di questa situazione i saharawi sono di fatto apolidi privi di protezione diplomatica. Nel tentativo di includere all’interno dello Stato spagnolo gli spagnoli senza patria come i sefardis o gli abitanti della Guinea Equatoriale per ragioni di vicinanza geografica, è stata avviata per analogia situazionale una campagna filosaharawi, tramite la presentazione di una proposta di legge 121 del 2015, che mira ad emendare l’art.22.1. cc: questo emendamento additivo vuole estendere alla popolazione saharawi e ai moriscos il beneficio della residenza in senso inclusivo. L’esclusione dal regime privilegiato è dovuta alle diverse conseguenze che il processo di decolonizzazione ebbe sui paesi riconosciuti e non.

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Introduzione

La prima parte del lavoro evidenzia la crisi della visione tradizionale dell’istituto della cittadinanza, con riferimento sia alla prospettiva sociologica sia alla sistemazione giuridica.

Dopo aver tracciato le tappe fondamentali, dalle origini del mondo greco fino ad arrivare all’era della globalizzazione, l’iter storico individua una definizione della cittadinanza intesa come appartenenza plurima e contestuale, valutata nella sua duplice dimensione orizzontale e verticale, caso per caso e a posteriori secondo la teoria dei multiple demoi. Dal punto di vista sociologico si evince di fatto una tendenza esclusiva di cittadinanza, visto il trattamento differenziato cui è sottoposto lo straniero rispetto al cittadino, contraria all’auspicata idea di una cittadinanza inclusiva intesa come status personae; questo status si riferisce indistintamente a tutti gli uomini, i quali a causa della loro posizione dinamica e della conseguente interazione continua con altri individui, si arricchiscono e finiscono per acquisire identità diverse.

Si richiama fin dal principio la metafora dell’albero dell’integrazione e si favorisce una visione inclusiva nell’accesso dello straniero alla cittadinanza, il quale contribuirebbe ad assicurare la pacifica convivenza tra unità e diversità e a preservare anche la temuta alterazione dell’ordine pubblico all’interno di una comunità statuale. Dal punto di vista giuridico invece si analizza nella seconda parte del primo capitolo la normativa dettata anzitutto dal legislatore nazionale, detentore del monopolio nell’individuare i criteri in base ai quali acquistare la cittadinanza e contenuta nella vigente legge sulla cittadinanza n.91/1992.

Quest’ultima, regola l’acquisto a titolo originario nonché derivativo della cittadinanza, distinguendo differenti strade che si possono percorrere: l’attribuzione automatica per nascita, l’acquisto per beneficio di legge e l’acquisto a titolo volontario, rimesso alla manifestazione di volontà da parte di un soggetto interessato. Questa partizione riflette esattamente la disciplina per l’accesso alla cittadinanza nell’ordinamento spagnolo come sarà trattato nel capitolo terzo. In entrambi i casi, pur privilegiando il criterio dello ius sanguinis, si nota che viene garantita allo straniero la possibilità di accedere alla cittadinanza attraverso altre vie individuate discrezionalmente dal legislatore, a condizione che il soggetto interessato possieda i requisiti che la legge esige e che abbia manifestato, attraverso la presentazione di un’istanza, la volontà di diventare cittadino italiano o spagnolo.

Resta comunque in capo al legislatore, sotto forma di concessione, il compito di accogliere o rigettare l’istanza per ottenere la cittadinanza; non si confonda la discrezionalità con l’arbitrarietà dal momento che un’eventuale diniego dell’istanza dovrà essere accompagnato da una motivazione logica, coerente e ragionevole, come ha precisato la giurisprudenza di merito. A ciò si aggiunge che il nostro ordinamento, come quello spagnolo, riconosce la possibilità di ricorrere all’acquisto iure soli solo per via residuale e solo a seguito di una dichiarazione di volontà, frutto di un’effettiva scelta di vita in base al principio di territorialità; finendo così per rendere gravoso il procedimento per l’acquisto della cittadinanza in mancanza di un “legame di sangue”.

Il parallelismo giuridico tra ordinamenti diversi per quanto riguarda lo stesso istituto consente di cogliere le analogie e le differenze, potendo per via della comparazione effettuare una scelta ponderata e più completa.

Ab origine traspare in entrambi gli ordinamenti l’esigenza di sistemare la materia della cittadinanza in leggi dello Stato nonché sovranazionali; in Italia una svolta si è avuta con l’entrata in vigore della vigente legge sulla cittadinanza n.91 del 1992, successivamente integrata da regolamenti di esecuzione come il d.p.r. n.572 del 12 ottobre 1993, sia per quanto concerne l’acquisto automatico o volontario che per la perdita volontaria o sanzionatoria.
A questa sono seguite numerose proposte di riforma che non si sono mai tradotte in leggi, nel tentativo di adeguare la legge sulla cittadinanza alla direzione multiculturale che seguono le nostre società nell’era della globalizzazione.

Nell’ultima parte del primo capitolo, per colmare il vuoto normativo che caratterizza l’attuale legislazione si analizza la proposta di riforma per l’accesso alla cittadinanza. Il ddl 2092 del 2015 prevede l’introduzione di due ulteriori criteri accanto a quelli tradizionali dello ius sanguinis e dello ius soli, ovvero dello ius soli c.d. temperato e del c.d. ius culturae, che consentirebbero a oltre un milione di minori d’età di origine straniera, che siano nati o cresciuti in Italia e quindi “italiani di fatto”, di diventare cittadini italiani anche di diritto. Tale decreto legge, ancora in pendenza di approvazione, risponde ad una esigenza proclamata a livello sovranazionale e non in pieno attuata a livello nazionale, favorirebbe i processi di inclusione dello straniero, in particolare il minore d’età, all’interno della comunità in cui vive.

Nonostante i limiti che il decreto presenti, rappresenterebbe un passo verso la creazione di un ordine cosmopolita. Il vuoto di tutela, dovuto anche al mutamento dell’agenda politica, espressione delle ideologie tramutate dalle diverse rappresentanze parlamentari, ha prodotto l’effetto di negare nei confronti degli stranieri alcuni diritti fondamentali spettanti a tutti gli uomini, a prescindere dall’origine etnica o dalla nazione di provenienza o da ogni altro fattore. Uno dei diritti che viene in rilievo è proprio quello che ogni uomo possiede almeno una cittadinanza, quale condizione per il godimento di altri diritti fondamentali. La cittadinanza contribuisce a definire quindi l’identità di un soggetto.

Si approfondisce nel prosieguo anche il rapporto biunivoco che lega la cittadinanza all’apolidia, costituendo l’uno la negazione dell’altro. Agli apolidi sono assimilati gli stranieri in quanto persone non protette. Seppur gli apolidi siano privi di un’identità anche originaria, finiscono per rimanere invisibili all’interno dell’ordinamento giuridico. A livello internazionale si è sviluppata una disciplina sovranazionale tesa a tutelare gli apolidi, nonché a ridurre i casi di apolidia, basata su regole uniformi previste nelle Convenzioni internazionali del 1954 e del 1961, rispettivamente quella relativa allo statuto delle persone apolidi e quella sulla riduzione dell’apolidia.

A queste si aggiunge inoltre la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione dei casi di apolidia in relazione con la successione di Stati che, sulla base della Convenzione europea sulla nazionalità 1997, introduce nel dettaglio una disciplina che gli Stati devono applicare per prevenire, o quantomeno ridurre i casi di apolidia a seguito di successione degli Stati. Visto il vuoto normativo che si evidenzia a livello interno in materia, si sottolinea come a livello internazionale almeno non è stata sminuita l’importanza del c.d. apolicidio.

Si analizza nel corso dell’intero lavoro la dicotomia tra cittadino e straniero che culmina nel secondo capitolo ad evidenziare le difficoltà che lo straniero incontra nel percorso di integrazione. Dopo aver qualificato soggettivamente le singole posizioni, ci si chiede se ed entro quali limiti si estende allo straniero il trattamento giuridico riservato al cittadino, nell’ambito del percorso di integrazione intrapreso da numerosi individui radicati in nazioni diverse da quelle di origine.

Si sostiene che i soggetti che originariamente permangono come stranieri all’interno degli ordinamenti di accoglienza, in quanto persone, hanno diritto a ricevere una tutela standard minima internazionalmente garantita e costituiscono una fonte di crescita nella creazione di una arricchita identità collettiva. Ai fini di una pacifica convivenza tra gruppi di etnia diversa, lo Stato, che detiene il monopolio nel determinare i criteri di acquisto della cittadinanza, si impegna con uno spirito di tolleranza a rispettare la specificità culturale delle minoranze che si stabiliscono nel nostro paese, in cambio del rispetto dei valori di fondo radicati nella cultura occidentale, che caratterizzano le odierne società multiculturali.

Si privilegia una visione liberale delle politiche di integrazione, che combini l’apertura e la flessibilità con la diversità e la conservazione delle origini e delle tradizioni di ciascun popolo, anche se mutevoli. Se si considera la cittadinanza come status personae, quel minus di diritti fondamentali costituzionalmente e internazionalmente garantiti spetteranno sia al cittadino che allo straniero, non potendo quest’ultimo subire discriminazioni irragionevoli vietate a livello nazionale dall’art.3 Cost; il combinato disposto degli artt. 2, 3 e 10 co.2 Cost. che rispettivamente sanciscono il principio del pluralismo sociale, quello di uguaglianza caratterizzato da una doppia anima, oggettiva e soggettiva e il rispetto delle norme e dei trattati internazionali, consente di estendere il godimento di alcuni diritti fondamentali spettanti ai cittadini agli stranieri.

Le limitazioni che lo Stato può imporre allo straniero nel godimento dei diritti fondamentali dal carattere scomponibile sono misurate sulla base del criterio di ragionevolezza, che tiene conto della differente posizione dello straniero rispetto al cittadino e del bilanciamento con gli altri interessi costituzionalmente protetti. La ragionevolezza di un comportamento che si concreta in una disuguaglianza sociale deve essere valutata caso per caso dal giudice, al fine di individuare la legge più favorevole da applicare, ovvero quella norma che assicuri la tutela più adeguata ad includere lo straniero in nome del principio della massima inclusione.

Le differenziazioni su base etnico culturale sono ammesse solo se conformi al criterio della ragionevolezza, che serve sia a valutare la legittimità costituzionale delle previsioni legale che appaiano in contrasto con il principio dell’uguaglianza formale fra cittadini di cui all’art. 3 Cost., sia a valutare la legittimità dei trattamenti differenziati imposti agli stranieri nei confronti degli stranieri non-cittadini. Comunque è stata fatta salva, altre sì, la possibilità di opporsi alla discriminazione proponendo un’azione civile, censurando trattamenti differenziati che gli immigrati subiscono rispetto ai cittadini, allorché risultino manifestamente irragionevoli e comunque non giustificati, alla luce di un’opera di bilanciamento di interessi, da esigenze di protezione di valori di pari rango costituzionale.

Al di là della tutela prevista a livello nazionale si analizza nel secondo capitolo, in modo coordinato, l’evoluzione a livello comunitario del diritto antidiscriminatorio fin dalle sue origini, partendo dalla classificazione dal punto di vista oggettivo dei comportamenti discriminatori per poi procedere ad una classificazione soggettiva dei destinatari di tali comportamenti, riconducibili alla categoria dei soggetti deboli; successivamente si approfondisce la tutela che il TCE in una dimensione formale riservava esclusivamente ai lavoratori e che, grazie al contributo della ECJ si estende, nella sua dimensione sostanziale, a tutte le categorie di soggetti rientranti nell’ambito di applicazione del diritto comunitario. Il principio di uguaglianza e il suo corollario del divieto di discriminazione sono trattati dall’ECJ come un’endiadi, l’uno complementare rispetto all’altro.

In questa sede oggetto di studio è l’ambito di applicazione del divieto di discriminazione per motivi di nazionalità, in linea con le esigenze di cui all’art.4 co.2 del TUE. Tale divieto è espressamente sancito anzitutto nell’attuazione delle previsioni del TFUE, riguardando la libertà di circolazione dei lavoratori, dei servizi e delle merci.

Per la prima volta il divieto di porre in essere condotte discriminatorie viene codificato nella sua dimensione sostanziale all’interno del Trattato di Amsterdam, e al fine di rendere effettivo il principio della parità di trattamento tra le persone un importante contributo è stato dato dalle direttive comunitarie 2000/43/CE e 2000/78/CE, entrambe recepite all’interno del nostro ordinamento nel 2003; queste ultime non hanno sostituito la legislazione preesistente prevista nel T.U. sull’immigrazione del 1998 ma l’hanno arricchita, creando in taluni casi un problema di coordinamento ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile.

A protezione dei diritti fondamentali si fa anche riferimento alla CEDU, nonché al Protocollo Addizionale n.12 che, seppur non prevede il diritto di ogni individuo alla cittadinanza, offre una garanzia giurisdizionale indiretta a tutti gli individui vietando ogni forma di discriminazione ex art.14. In presenza di una disciplina multilivello, al fine di individuare la disciplina da applicare al caso concreto, si privilegia il criterio della maggior protezione, che privilegia la norma che offre la tutela più favorevole, ai sensi dell’art.53 della Carta di Nizza. L’appartenenza dell’Italia ad un ordinamento multilivello come quello europeo fa sì che accanto ai diritti tutelati dall’ordinamento interno, si affianchino altri diritti tutelati a livello sovranazionale, tra cui quello della cittadinanza europea accanto e non al posto di quella nazionale, da cui discendono nuovi diritti flessibili facenti parte del patrimonio costituzionale europeo. Il riconoscimento dello status di cittadino europeo è in linea con una visione transnazionale dell’appartenenza all’Europa all’interno di un processo di costruzione di un’identità europea.

Sarebbe necessario, inaugurare una politica europea di coordinamento delle legislazioni nazionali, in materia di cittadinanza, con quelle comunitaria e internazionale a fronte della crescente esigenza di integrazione interculturale prospettata come obiettivo da raggiungere nel Programma europeo teso a promuovere il trinomio diritti, uguaglianza e cittadinanza per il periodo 2014/2020.

Al fine di sistemare l’incoerenza che caratterizza le discipline nazionali vigenti in ambito di cittadinanza, si potrebbe iniziare un processo di armonizzazione della disciplina applicabile a livello europeo che tuteli i valori omogenei condivisi dai vari Stati al fine di creare un’identità standardizzata e uniforme in nome della dignità umana. Resta quindi la possibilità per gli Stati di orientarsi in questa direzione sulla base di nuovi accordi da raggiungere in una prospettiva futura. Nel frattempo si richiedono nuovi interventi legislativi per superare la crisi della cittadinanza. Questa crisi tende verso l’apertura o la chiusura nel rapporto tra l’individuo e la comunità in cui è radicato, a seconda della strategia politica adottata dalle maggioranze parlamentari, finendo per essere strumentalizzata al controllo dei flussi migratori. Infatti, nel tentativo di integrare lo straniero all’interno della comunità in cui vive ed è radicato, si mettono in luce, alla fine del secondo capitolo, le difficoltà che lo straniero incontra in questo percorso, finendo per subire limitazioni di diritti fondamentali, proclamati nelle Carte ma non effettivamente garantiti di fatto.

Lo Stato deve impegnarsi a mantenere, a fronte della crescente spinta migratoria, l’unità nella diversità, estendendo allo straniero alcuni dei diritti di cui gode il cittadino in base al criterio della contiguità nel luogo di residenza o altrimenti detto principio di territorialità; quest’ultimo consente di valutare l’intensità del vincolo che lega un individuo al territorio in cui sceglie di vivere in base al principio di autodeterminazione al posto di quello di origine. L’esigenza di tutela dei diritti dell’individuo deve essere bilanciata con quella di tutela della collettività, vista l’esigenza primaria per lo Stato di preservare l’ordine pubblico. Le difficoltà nell’integrazione sono dovute all’applicazione in molti Stati occidentali di un modello di integrazione in senso limitato che favorisce una convivenza pacifica tra etnie diverse nei limiti in cui la diversità etnica sia compatibile con l’identità nazionale, ma che di fatto considera lo straniero con atteggiamento di sfiducia e come un pericolo per la sicurezza pubblica a causa dei numerosi e recenti attacchi terroristici.

Nel terzo capitolo invece, con riferimento all’ordinamento spagnolo si nota come, anzitutto dal punto di vista storico avendo riguardo alle politiche imperiali, i flussi migratori abbiano mutato direzione, dal Sud al Nord a causa del fenomeno della globalizzazione culturale. La globalizzazione dei diritti e delle libertà è senza dubbio un requisito che deve essere rispettato nel processo di costruzione di una nozione di cittadinanza globale che favorisce il dialogo e tra le popolazioni di tutto il mondo. Si analizzano le modalità di acquisto della cittadinanza spagnola, con particolare attenzione all’acquisto a titolo derivativo per residenza e successivamente i casi di perdita e recupero della cittadinanza. Nell’ultimo capitolo invece oggetto di analisi è la disciplina applicabile, nell’accesso alla cittadinanza, agli stranieri ex coloni, con particolare attenzione al trattamento giuridico riservato ai membri della comunità sefardita e, per analogia, alla popolazione Saharawi. I membri di quest’ultima subiscono delle limitazioni non giustificate nell’accesso alla cittadinanza a discapito degli altri ex coloni.

La popolazione Saharawi all’interno di una società globalizzata e multiculturale ha diritto a godere di una cittadinanza come status personae e a non subire discriminazioni irragionevoli, che abbiano l’effetto di escludere o rendere gravoso l’acquisto della cittadinanza spagnola. Questa esigenza è stata presa in considerazione dal legislatore spagnolo il quale, tramite la proposta di legge del 19 febbraio del 2015, è intervenuto modificando l’art.22.1 del c.c. prevedendo che, anche un saharaui, al pari di un membro della comunità sefaridita, nonché di un cittadino di uno dei paesi elencati come la Guinea Ecuatoriale, può, in presenza dei requisiti che la legge esige, beneficiare della riduzione del periodo di residenza (2 anni) richiesto per la concessione della cittadinanza spagnola e utilizzare i mezzi di prova già ammessi nei confronti delle altre categorie menzionate ai fini dell’accertamento della loro condizione giuridica. Nonostante le innovazioni introdotte con la menzionata proposta di legge, si constatano le numerose carenze legislative suscettibili di essere colamate tramite ulteriori interventi legislativi auspicati.

L’obiettivo del lavoro è quello di individuare una disciplina omogenea quanto al trattamento non discriminatorio dei cittadini e degli stranieri nell’accesso alla cittadinanza di uno Stato, facilitando l’integrazione dello straniero all’interno degli Stati che per motivi storici, economici e sociali sono vincolati alla comunità alla quale aspirano di appartenere. Secondo Van Hoogstraten “la vita di una persona, come un’eclissi, può avere più di un centro“.

È per questo che dobbiamo tener conto di due fattori, come la globalizzazione delle relazioni umane e l’aumento delle situazioni multinazionali, che consentono un’evoluzione del regime giuridico applicabile ai cittadini immigrati e agli stranieri, favorendo l’integrazione sociale di un soggetto all’estero, previo adempimento dei requisiti stabiliti dalla legislazione nazionale.