Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Lasciare la Tunisia: le partenze dalle Isole Kerkennah e i rimpatri dall’Italia

Un reportage di Alice Passamonti

Ph: Alice Passamonti
Ahmed Boukthir, 26 anni, sopravvissuto al naufragio del 3 giugno 2018 (Photo credit: Alice Passamonti)
Ahmed Boukthir, 26 anni, sopravvissuto al naufragio del 3 giugno 2018 (Photo credit: Alice Passamonti)

Ahmed è seduto al tavolino di un caffè 1, indossa una t-shirt rossa, in mano un narghilè. Ha 26 anni, è originario di Sfax, principale centro economico della Tunisia, una città a circa 270 km dalla capitale, Tunisi. È sopravvissuto al naufragio del 3 giugno 2018, finora il più mortale dell’anno nel Mar Mediterraneo secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, con un bilancio di almeno 110 persone tra morti e dispersi e 68 persone soccorse. A bordo del barcone, affondato dopo due ore di navigazione al largo delle isole Kerkennah, c’erano soprattutto giovani tunisini, ma anche migranti subsahariani (50 in tutto, tra cui 2 donne incinte).

La storia di Ahmed somiglia a quella di tanti altri ragazzi della sua età, che decidono di lasciare la Tunisia da harraga (da irregolari, senza un visto, “bruciando” la frontiera e spesso i documenti) in cerca di un futuro in Europa. “Dopo gli studi, ho lavorato dal 2011 al 2017 come autista di camion, per 700 dinari al mese 2 (circa 220 euro). Ma quando ho perso il lavoro – racconta – è cambiato tutto. Passavo intere giornate a fumare la shisha (narghilè) senza fare nulla, così un giorno ho deciso di partire”. In quel momento, mentre organizzava la sua partenza pensando agli amici che ce l’avevano fatta, non poteva immaginare che la sua barca, sprovvista di salvagenti, sarebbe affondata e che il suo amico Abdessalem avrebbe perso la vita a 25 anni.

Gli arrivi in Italia dalla Tunisia

Secondo i dati 3 forniti dal Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, nel corso del 2017 sono sbarcati sulle coste italiane 119.369 migranti, di cui 6.151 di origine tunisina, con un aumento vertiginoso delle partenze clandestine dal Paese nordafricano rispetto agli anni precedenti. Un numero più alto di arrivi si era registrato solo nel 2011, nei mesi successivi alla Rivoluzione, quando arrivarono via mare oltre 20.000 persone. Nel 2017, la Tunisia risultava essere l’ottava nazionalità di provenienza dei migranti irregolari.

Nel 2018, invece, anche per via di una drastica riduzione delle partenze dalla Libia (- 86,88% rispetto al 2017), la Tunisia occupa il primo posto in questa triste classifica. 4 Come precisa l’ultimo rapporto 5 del Forum Tunisien pour les Droits Economique et Sociaux, sebbene sia triplicato il numero di subsahariani in partenza dalle coste tunisine negli ultimi due anni, a lasciare la Tunisia sono ancora in maggioranza i giovani tunisini, nel 91% dei casi. Provengono da Kairouan, Zarzis, Sfax, Jendouba, Medenine, molti anche dall’area di Grand-Tunis nel nord del Paese.

I governatorati di Sfax, Mahdia e Medenine nel centro-sud del Paese, sono le principali regioni di partenza dei barconi diretti verso Lampedusa e il sud della Sicilia. Le isole Kerkennah (nella regione di Sfax), il principale punto di partenza delle barche. La disoccupazione crescente, soprattutto nell’entroterra della Tunisia, una delle principali cause delle partenze. Segno che la cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini ha portato con sé la libertà d’espressione e i diritti civili, senza assicurare un lavoro.

La mappa dei flussi migratori
La mappa dei flussi migratori

Fonte: European Council of Foreign Relations

Kerkennah, isole fantasma, terreno fertile per i trafficanti

Il traghetto che parte da Sfax costa un dinaro (in euro, circa 30 centesimi) e impiega poco più di un’ora per raggiungere l’isola di Mellita, arcipelago di Kerkennah. Percorrendo la Route el kraten, la strada principale che unisce le due estremità dell’isola, il paesaggio è surreale. Sembra di trovarsi su un’isola fantasma. E In effetti, la storia dell’arcipelago, caratterizzata da una presenza-assenza di forze dell’ordine e controlli, è molto particolare.

Dopo i violenti scontri del 2016, durante i quali i manifestanti arrivarono a bloccare l’esportazione di idrocarburi per rivendicare il lavoro, la Polizia decise di ritirarsi dall’isola senza ricorrere a repressioni violente. In quell’occasione, fu raggiunto un accordo tra le parti con la principale sigla sindacale del Paese (UGTT, Union générale tunisienne du travail) e con l’UDC (Union des diplômés chômeurs), così da allentare le tensioni sociali.

Ancora oggi, Kerkennah rimane una zona calda della Tunisia in cui le forze dell’ordine sono presenti in maniera molto ridotta, per mantenere una certa pace sociale. A tutto questo, bisogna aggiungere una crisi generalizzata della pesca e del turismo. Da un lato, l’assenza di controlli, dall’altro la crisi economica. Non è difficile immaginare che quest’isola possa essere il contesto ideale per portare avanti una serie di attività illecite, tra cui il traffico di migranti.

A descrivere una situazione divenuta ormai insostenibile è Khemis, pescatore di Kerkennah da oltre 20 anni. “La mia prima barca da pesca è stata rubata nel cuore della notte. Adesso, per evitare che succeda di nuovo, trascorro la maggior parte del tempo a bordo – racconta – Una barca come quella su cui ci troviamo adesso, infatti, può essere usata per le partenze clandestine, trasportando circa 20-30 persone”. K. spiega che le barche di legno e vetroresina possono essere affittate dai pescatori ai trafficanti per la singola traversata. Oppure, se sono ormai vecchie, possono essere vendute dai pescatori alla mafia locale per 30.000 dinari tunisini (circa 10.000 euro). Un’altra possibilità è che siano i ragazzi a rubare le barche ai pescatori, proprio come è successo a lui qualche anno fa.

Di solito, i giovani arrivano a Kerkennah dalla spiaggia di Sidi Mansour (nella località di Sfax) con imbarcazioni che trasportano 10-15 persone. Attendono per qualche giorno l’arrivo del bel tempo, nascosti nella cosiddetta guna, poi lasciano l’isola a bordo di piccole imbarcazioni. In altri casi, invece, con questi barchini raggiungono una barca più grande di circa 12-14 metri (trasporta circa 80-90 persone), ferma a poche miglia dall’isola. Dunque, in questo caso il trasbordo avviene al largo e da qui inizia la vera a propria traversata verso l’Italia.

El Ataya e Mellita, le due località di partenza delle imbarcazioni (Photo credit: Alice Passamonti)
El Ataya e Mellita, le due località di partenza delle imbarcazioni (Photo credit: Alice Passamonti)

Tremila dinari per tentare la sorte

Ahmed sorride mentre fuma incessantemente il suo narghilè. Sebbene non sia mai arrivato in Sicilia, conosce perfettamente i dettagli di quello che sembra essere un sistema ben collaudato, anche se imperfetto. Per lasciare la Tunisia, si è messo in contatto con un ragazzo “che organizzava le partenze”, Nejha Atallah, conosciuto tramite alcuni amici che già vivono in Italia: 3.000 dinari (circa 1.000 euro) è il costo della singola traversata, a cui si aggiungono 300 dinari (100 euro) per il trasporto da Sidi Mansour a Kerkennah. “In alternativa, si può viaggiare sul traghetto nascosti nel bagagliaio di un’automobile per 150 dinari”, spiega Ahmed, convinto che alcuni poliziotti siano coinvolti nel traffico, dal momento che “quelle auto non vengono mai sottoposte a controlli”.

Prima di partire, siamo rimasti per qualche giorno a Mellita nella guna. Eravamo circa 90 persone. Gli uomini della rete entravano tutti con il volto coperto. La sera del 2 giugno – prosegue nel racconto – siamo stati trasferiti dalla casa alla spiaggia in gruppi di 15 persone, a bordo di un camion frigo per il trasporto del pesce. Un uomo aveva una lista con i nomi di chi aveva pagato il viaggio”. Dalla riva, con i barchini hanno raggiunto la barca più grande. “Quella sera un’altra barca era in panne, così hanno fatto salire tutti sulla stessa imbarcazione. Quando ci siamo resi conto di essere in troppi, circa 180 anziché 90, eravamo già in mare ed era troppo tardi per tornare indietro”.

La barca ha iniziato ad imbarcare acqua dopo due ore di navigazione. A quel punto, il capitano, un ragazzo di soli 25 anni, ha tentato di rientrare verso Sfax, infine ha chiamato i soccorsi. La Marina militare tunisina è arrivata dopo oltre due ore di attesa. La Guardia Nazionale è intervenuta dopo 6 ore. Ahmed era convinto che il viaggio sarebbe stato sicuro. In ogni caso, confida, “non mi sarei tirato indietro. La ragione della migrazione è talmente forte che in quel momento è come essere sotto effetto di droghe. Non si ha paura di niente”. Ahmed non ha mai pensato di chiedere un visto, perché “senza un buon conto in banca” e altri requisiti necessari non l’avrebbe mai ottenuto. Così, con una buona probabilità di arrivare in Italia e restare, pur correndo il rischio di essere rimpatriato, ha tentato la sorte.

Piattaforma petrolifera per l'estrazione di idrocarburi (Photo credit: Alice Passamonti)
Piattaforma petrolifera per l’estrazione di idrocarburi (Photo credit: Alice Passamonti)

Il suo amico Abdessalem, 25 anni, con un lavoro sicuro in una fabbrica di marmo di Sfax, “due macchine, tutti i soldi necessari per comprarsi i vestiti che voleva – racconta il padre Nasser ancora incredulo – avrebbe potuto chiedere il visto, ma aveva troppa fretta di raggiungere una ragazza tedesca di cui si era innamorato”. Così, è partito per l’Italia senza dire nulla ai suoi familiari ed è morto annegato in mare.

Kais, 36 anni, un lavoro come tassista, al contrario di Ahmed e Abdessalem, è partito direttamente dalle coste di Sfax, su una barca guidata da un amico, senza pagare il viaggio e senza doversi rivolgere ad un trafficante. È riuscito ad arrivare in Italia clandestinamente per ben cinque volte, dal 2007 ad oggi. In Italia, ha vissuto a Bologna, Rimini, Reggio Emilia, Palermo. È sempre rimasto nel nostro Paese per pochi mesi, prima di essere rimpatriato. Ha lavorato per un periodo come barbiere, “ma anche come spacciatore”, confessa. “Come tassista, guadagno 30 dinari al giorno lavorando per molte ore. Preferisco l’illegalità in Italia piuttosto che la miseria qui”. La sua permanenza più lunga nel Paese è stata all’interno del carcere di Bologna: tre anni di condanna per spaccio di droga. Poi, è arrivato l’ennesimo rimpatrio. Ora, Kais vorrebbe ripartire al più presto per l’Italia con un preciso obiettivo. “Questa volta, voglio trovare una donna italiana da sposare per poter prendere la cittadinanza”.

Porto di Mellita, arcipelago delle isole Kerkennah (Photo credit: Alice Passamonti)
Porto di Mellita, arcipelago delle isole Kerkennah (Photo credit: Alice Passamonti)

I controlli delle coste e la politica dei rimpatri

Sulla base di diversi accordi bilaterali, siglati dai due Paesi a partire dal lontano 1998, le autorità tunisine, oltre a collaborare sul piano dei rimpatri, favorendo l’identificazione dei cittadini tunisini tramite il Consolato, dovrebbero garantire anche un controllo delle coste. Nel 2017, la Guardia Costiera tunisina ha fermato 3.178 persone mentre tentavano di partire in maniera irregolare, contro le 6.151 intercettate dalle autorità italiane. Un pattugliamento delle coste, difficile per via della geografia tunisina e della mancanza di mezzi. Nonostante l’Italia assicuri un supporto logistico, formativo ed economico e nonostante la collaborazione da parte del Governo tunisino, il sistema è ancora da perfezionare.

Dopo il tragico naufragio del 3 giugno, la sera del 21 giugno, Nejah Atallah, 32 anni, considerato l’organizzatore di decine di partenze clandestine da Kerkennah all’Italia e ricercato da alcuni mesi, è stato arrestato mentre cercava di lasciare l’isola nascosto nel bagagliaio di un’automobile. Il suo complice sarebbe un sergente dell’Esercito. In seguito all’incidente, anche diversi funzionari di sicurezza della Guardia Nazionale, della Polizia giudiziaria e della Guardia Costiera sono stati rimossi dal loro incarico per non aver saputo fermare le partenze. E lo stesso Ministro degli Interni, Lotfi Brahem, è stato licenziato dal Primo Ministro tunisino, Youssef Chahed, forse con il pretesto del disastro in mare. Non è la prima volta che i media tunisini annunciano la notizia dell’arresto di trafficanti e di funzionari di Polizia corrotti. Tuttavia, finora le partenze non si sono interrotte. E i giovani tunisini continuano a lasciare illegalmente la Tunisia. A volte, come in questo caso, perdendo la vita.

Al tempo stesso, l’Italia non riesce a rimpatriare tutti i cittadini tunisini entrati in maniera irregolare: secondo l’ultimo rapporto 6 della Polizia di Stato, relativo al 2017, lo scorso anno sono stati rimpatriati 2.193 tunisini, a fronte di 6.151 arrivi in Italia.

La Tunisia risulta, comunque, il secondo Paese dopo l’Albania per numero di rimpatri. Ed è al primo posto per quanto riguarda le riammissioni forzate con scorta, che generalmente avvengono tramite voli charter dall’aeroporto di Palermo a quello di Enfidha-Hammamet. Dallo scorso ottobre, si contano due voli a settimana per rimpatriare una media di 60-80 persone. La quota dei rimpatri è aumentata in relazione all’aumento degli arrivi dalla Tunisia.

Immagine tratta da
Immagine tratta da

Un’animazione sui rimpatri dei migranti tunisini dall’Italia
A mettere in discussione l’attuale politica dei rimpatri, definendola per certi versi fallimentare, sono due recenti rapporti pubblicati rispettivamente dall’Arci 7 e dalla ONG tedesca, Rosa Luxemburg North Africa 8. Da un lato, il rimpatrio immediato dei cittadini tunisini (ritenuti migranti economici e quindi esclusi dalle procedure per la richiesta d’asilo) è considerato una violazione della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato. Dall’altro, dopo il rimpatrio forzato, senza offrire alcuna prospettiva nel Paese d’origine e senza una vera reintegrazione, il rischio di re-emigrazione rimane molto alto.

Tra diritto alla mobilità e frontiere, libertà e disoccupazione, partenze clandestine e rimpatri forzati, Ahmed rimane seduto al tavolino del caffè. Il narghilè in mano, uno sguardo ancora confuso, un sorriso timido e una certezza: “Non volevo arrivare a tutti i costi in Italia. Semplicemente, volevo a tutti i costi lasciare la Tunisia”.

  1. L’equivalente del nostro bar
  2. Il dinaro tunisino continua a perdere valore rispetto all’euro, ad agosto 2018 il tasso di cambio si attestava a 3,23 euro
  3. http://www.interno.gov.it/it/sites/default/files/cruscotto_statistico_giornaliero_31-08-2018.pdf
  4. 3.729 migranti tunisini sono arrivati in Italia, su un totale di 19. 874 arrivi. Il dato, aggiornato al 30 agosto 2018, potrebbe ricomprendere immigrati per i quali sono ancora in corso le attività di identificazione.
  5. https://ftdes.net/rapports/emigration2017.pdf
  6. https://poliziamoderna.poliziadistato.it/statics/23/dati-2017.pdf
  7. https://www.arci.it/app/uploads/2018/07/report-frontiere-2018.pdf
  8. http://www.rosaluxna.org/wp-content/uploads/2017/09/David-L.-Suber-failing-readmission16-08.pdf