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“Nessun posto dove andare” per chi vive in prima linea il cambiamento climatico

IRIN, 13 dicembre 2018

Pescatore in Madagascar, minacciato dagli effetti del riscaldamento globale - CREDIT: Marco Longari/AFP

Ginevra, 13 dicembre

Mentre i leader mondiali negoziano un piano per il futuro, le comunità che vivono già gli effetti del cambiamento climatico lottano per fronteggiare l’impatto di condizioni meteorologiche estreme, stagioni mutevoli e temperature altalenanti.

I giornalisti di IRIN hanno incontrato le persone che affrontano cambiamenti radicali dei loro stili di vita. Per alcuni, questi cambiamenti sono stati decisivi: una famiglia costretta a fuggire dalla propria terra, un pescatore che prova con l’agricoltura per la poca ricchezza dei mari; un pastore messo in ginocchio dalla siccità, che lascia il suo lavoro, per uno nuovo, comunque a rischio.

Le loro storie, qui raccontate, mostrano e simboleggiano gli sforzi di ogni giorno per affrontare e adattarsi al cambiamento climatico da parte di chi fa già i conti con i suoi effetti.

I paesi a basso reddito affermano che l’impegno già preso di 100 miliardi di dollari all’anno per finanziare le nazioni esposte sono pochi e non abbastanza per coprire i costi vertiginosi di perdite e danni dovuti ai disastri.

Ci sono limiti nella capacità di adattamento dei sistemi naturali e umani”, ha avvertito un gruppo di 47 Paesi meno sviluppati. “Le persone stanno già soffrendo per la devastazione provocata dai cambiamenti climatici”.

“Non ho un altro posto dove andare”

Dalla campagna al lago, la siccità mette a rischio i mezzi di sostentamento nella zona del Turkana, Kenya.

Eperit Naporon, un pastore che si è dato alla pesca, pulisce un pesce sulle rive del lago Turkana in Kenya. Sophie Mbugua/IRIN
Eperit Naporon, un pastore che si è dato alla pesca, pulisce un pesce sulle rive del lago Turkana in Kenya. Sophie Mbugua/IRIN

La grave siccità ha costretto Eperit Naporon, pastore da una vita, ad abbandonare il suo gregge per diventare un pescatore sul lago Turkana 1, nel nord del Kenya. Ma, ancora una volta, il cambiamento climatico, minaccia la sua vita.

Quando 200 delle sue capre morirono durante una siccità l’anno scorso, Naporon decise che doveva trovare un altro modo per sfamare la sua famiglia e sopravvivere.
Per decenni, ha pescato nelle acque del lago Turkana (il lago in luogo desertico più ampio del mondo) non per lavoro, ma per provvedere all’alimentazione della sua famiglia. Ora, da pastore, è diventato un pescatore a tempo pieno, fornendo la sua pesca ai piccoli commercianti sulle rive.

Ma nuovamente, il pesce sta diminuendo. “Siamo abituati a prendere pesci grandi molto vicino alle coste. Ora dobbiamo andare più a largo, in aree in cui ci sono anche altri, poiché è l’unico modo per pescare”, ha detto il 43enne padre di nove figli.
Prendiamo pesci molto più piccoli rispetto a quelli che si pescavano anni fa.”

La Provincia del Turkana è stata soggetta a lunghi periodi di siccità ricorrente. Peraltro, le temperature in aumento e i mutevoli livelli di precipitazioni porteranno a un aumento dei tassi di evaporazione nel lago Turkana. I dati governativi sul meteo mostrano un aumento delle temperature in questa zona tra due e tre gradi Celsius (3.5 e 5.5°F) tra il 1967 e il 2012.

Naporon racconta che i periodi di siccità sono diventati più lunghi, più frequenti e più dannosi economicamente: “Attualmente, c’è siccità quasi ogni anno. Quando arriva, perdiamo tutto… le mucche, le capre; è frustrante”.

Adesso, anche la sua seconda fonte di speranza, il lago del deserto, è in pericolo, non solo a causa dei livelli elevati di evaporazione dovuti all’aumento delle temperature, ma anche a causa dell’intervento umano.

I sistemi idroelettrici e di irrigazione costruiti lungo il fiume Omo ridurranno drasticamente l’ingresso di acqua dolce dal fiume al lago Turkana, aumentando così la sua salinità e riducendo le aree di riproduzione dei pesci e le popolazioni ittiche adulte. Il fiume Omo fornisce il 90% delle acque del lago Turkana.

Mentre i leader mondiali valutano come attuare gli impegni sul clima volti a limitare il riscaldamento globale, tutto ciò che Naporon può fare è sperare che il suo attuale mezzo di sostentamento resista.

Questa è la mia unica speranza! Non ho nessun altro posto dove andare,” ha affermato. “Sì, ho ancora delle capre, ma ne muoiono molte quasi ogni anno, non posso andare avanti. Quindi, questo lago deve essere fonte di sostentamento”.

“Con l’erosione del fiume, ogni cosa è portata via”

Cacciati dall’erosione, i migranti climatici portano all’espansione dei quartieri poveri del Bangladesh.

L’erosione del fiume ha distrutto il paese di Raima Begum sull’isola di Bhola in Bangladesh, nel 2009, costringendo la sua famiglia a trasferirsi in una baraccopoli della capitale, Dhaka. AZM Anas/IRIN
L’erosione del fiume ha distrutto il paese di Raima Begum sull’isola di Bhola in Bangladesh, nel 2009, costringendo la sua famiglia a trasferirsi in una baraccopoli della capitale, Dhaka. AZM Anas/IRIN

Raima Begum sa poco del riscaldamento globale, ma è la prova vivente del pegno gravoso che il cambiamento climatico richiede alle comunità costiere del Bangladesh.

Nel 2009, il fiume Meghna ha praticamente invaso la tua intera casa e la sua terra a Bhola, un’isola situata alla foce del fiume, nel golfo del Bengala. Il Bohla si è gradualmente ritirato in questi decenni a causa dell’erosione del suolo, inasprita dall’aumento dei livelli del mare e dalle frequenti inondazioni.

Quando il fiume si ritira, porta via ogni cosa,” dice Begum.

Dopo aver perso la sua terra e i suoi averi, la 30enne madre di due figli ha fatto un lungo viaggio controcorrente fino a Kallyanpur Pora Bastee, una baraccopoli nella periferia dell’affollata capitale del Bangladesh, Dhaka. Non era sola: i residenti affermano che l’80% delle persone qui provengono da Bhola.

Il viaggio di Begum è parte dell’esodo di una famiglia rurale in Bangladesh, dove circa 300/400mila nuovi migranti raggiungono ogni anno i centri urbani come Dhaka. Le ragioni dietro questo fenomeno sono complesse, ma comprese nelle motivazioni economiche ci sono le problematiche ambientali come siccità, alluvioni e terre che scompaiono, che costringono persone come Begum a partire.

Una ricerca della Banca Mondiale avverte che ci potrebbero essere più di 40 milioni di “migranti interni climatici” nell’Asia meridionale, un terzo dei quali in Bangladesh.

Oggi, l’erosione fluviale interessa circa 10mila ettari di terreno ogni anno. Il cambiamento climatico accelera questo problema, innalzando il rischio e la portata di eventi estremi come le alluvioni annuali sempre più gravi in Bangladesh. Uno studio del 2013 sugli impatti dei cambiamenti climatici osserva che l’erosione dei tre fiumi principali del Bangladesh potrebbe aumentare del 13% nel 2050. I ricercatori affermano che la perdita crescente di terreni potrebbe innalzare il numero dei migranti climatici, come Begum e la sua famiglia.

La famiglia di Begum viveva grazie alla terra che avevano a Bhola. Nella baraccopoli di Dhaka, fanno fatica ad affrontare le spese. Suo marito guadagna meno di 100 dollari al mese, usati per l’affitto e per le medicine del figlio malato. L’erosione che le ha portato via la casa e l’ha costretta a vivere nella capitale a loro poco conosciuta è per Begum la causa dei problemi della sua famiglia.

Non è forse l’erosione che ci sta danneggiando? Non è una nostra perdita?”, ci ha detto. “Ora soffriamo in una terra straniera.”

“Quando non ci sono piogge, non puoi coltivare nulla”

In Madagascar, la mancanza di piogge spinge gli agricoltori verso le città

Come molti altri commercianti in questo mercato di Morondava, Alatsoa è emigrata dalla regione sud del Madagascar, colpita dalla siccità. Emilie Filou/IRIN
Come molti altri commercianti in questo mercato di Morondava, Alatsoa è emigrata dalla regione sud del Madagascar, colpita dalla siccità. Emilie Filou/IRIN

In un angolo tranquillo del mercato di Morondava, una città sulla costa occidentale del Madagascar, Alatsoa sta riordinando la sua bancarella: vende spezie e legumi, ben esposti nei sacchi per il commercio all’ingrosso.

Ma questa non è stata sempre la sua vita. Alatsoa, suo marito, e i suoi due figli sono arrivati in città nel 2013 dopo che la siccità nella loro regione d’origine Androy, nel sud del Madagascar, ha reso impossibile continuare a lavorare come agricoltori.

Coltivavamo mais e patate dolci per venderli nei mercati locali,” ha affermato. “Ma se non ci sono piogge, non si riesce a coltivare nulla.”

La siccità è diventata la preoccupazione di tutti nell’Andory, come conseguenza del cambiamento climatico. Questa regione è colpita da una siccità senza precedenti dal 2013, accentuata da El Niño, un fenomeno che ha portato lunghi periodi con piogge scarse. Questo ha poi innescato una crisi umanitaria, con più di un milione di persone alle prese con malnutrizione e carenze alimentari.

Ma qualcosa di peggiore può avvenire; secondo le previsioni le temperature nella regione più a sud potrebbero aumentare, la siccità potrebbe diventare più frequente e le precipitazioni più variabili. Dato che l’agricoltura nell’Androy dipende quasi interamente dalle piogge e pochissimo dai sistemi di irrigazione o dalle modalità di coltivazione, la siccità ha un impatto enorme su questa regione povera e sottosviluppata.

C’è carestia là, non c’è acqua. Il nostro futuro sarebbe stato tragico se fossimo rimasti”, racconta Alatsoa. “Forse saremmo riusciti a sopravvivere, ma non vivere.

Secondo le Nazioni Unite, il cambiamento climatico aggrava i flussi migratori interni in Madagascar. Questa tendenza è evidente nel mercato di Morondava, dove dozzine di commercianti da Androy vendono banane, manghi e pollame.

Alatsoa è al mercato con la sua figlia più piccola, Riantsoa; nata a Morondava, ha tre anni, ma sembra più piccola della sua vera età. È però in ottima salute rispetto a molti bambini rimasti nella regione dell’Androy: il Programma Alimentare Mondiale calcola che circa la metà dei bambini sotto i 5 anni in Madagascar soffrono di malnutrizione cronica e blocco della crescita, e quella meridionale è appunto la regione più colpita.

La vita qui è buona“, ci dice Alatsoa. “Mangiamo bene e siamo in salute. Questa è la cosa più importante“.

Spera comunque che un giorno le cose miglioreranno abbastanza da permettere alla famiglia di tornare ad Androy. “Quando sei vecchio, devi tornare nella tua terra d’origine”, dice.

“Tutto è perduto”

L’innalzamento del livello del mare sradica le comunità costiere in Liberia

Lawrence Saweh è inerme con la sua famiglia di fronte a quello che resta della loro casa nella capitale della Liberia, Monrovia. Lucinda Rouse/IRIN
Lawrence Saweh è inerme con la sua famiglia di fronte a quello che resta della loro casa nella capitale della Liberia, Monrovia. Lucinda Rouse/IRIN

Prima che il mare distruggesse una grossa parte della sua casa in agosto, il trentenne Lawrence Saweh vendeva prodotti secchi al mercato.

Il mare ha danneggiato il mio lavoro. Adesso non faccio nulla, tutto è perduto.”

Nel giro di un fine settimana, la sua casa di cinque stanze nel quartiere Funday del distretto di Monrovia a New Kru Town fu ridotta a due. Il mare ha lacerato la struttura in cemento, demolendo le pareti esterne e portando via tutto quello che c’era all’interno, comprese la merce da vendere e il letto di sua madre.

Tutto ciò che è stato risparmiato dall’acqua, è stato poi rubato dagli sciacalli arrivati quando il mare si è ritirato. “Hanno persino rubato la copertura di zinco“, ci ha detto, guardando la luce del sole che filtrava da grossi buchi attraverso i resti della sua casa.

In questo sobborgo costiero, situato sull’isola Bushrod, una parte della capitale tra il fiume Saint Paul e l’oceano Atlantico, numerose case sono formate da un insieme di fogli di ferro ondulato piantati nella sabbia.

Ma la casa di Saweh non è sempre stata sulla spiaggia.

Dagli anni Settanta, l’erosione costiera ha ridotto la grandezza delle comunità sulla costa di una media tra 2 e 7 metri all’anno; la zona altamente popolata di New Kru Town, situata a meno di un metro sul livello del mare, è tra le aree maggiormente colpite. Oggi, i pescherecci spingono contro le fondamenta ormai esposte della casa di Saweh. Trent’anni fa invece il vicinato si estendeva oltre 200 metri da qui.

I livelli del mare in continuo aumento per il cambiamento climatico causeranno la distruzione delle comunità costiere di Monrovia. Nelle vicinanze è stata costruita una barriera di difesa, ma questa è una piccola consolazione per Saweh, la cui casa rimane vulnerabile e non protetta. “Il mare trova sempre una strada”, afferma osservando l’acqua salata scorrere in un canale dietro casa sua.

Le opzioni di Saweh sono poche nell’ipotesi di un altro evento. “Dove andrò?” chiede. “Non ci sono né posti dove andare, né soldi. Ecco perché siamo ancora qui”.

“Non posso più prevederlo”

Oceani caldi, temporali imprevedibili attaccano i villaggi di pescatori indonesiani.

Salsabila Makatika, 51, pescatore di tonno del villaggio di Asilulu sull’isola Ambon, nell’est dell’Indonesia, afferma che pescare è diventato estremamente imprevedibile e pericoloso. Ian Morse/ IRIN
Salsabila Makatika, 51, pescatore di tonno del villaggio di Asilulu sull’isola Ambon, nell’est dell’Indonesia, afferma che pescare è diventato estremamente imprevedibile e pericoloso. Ian Morse/ IRIN

Salsabila Makatika, pescatore di tonno, non confida più nell’oceano che ha invece provveduto al sostentamento della sua comunità per generazioni.

Salsabila dipende dal tonno per sostenere la sua famiglia di 11 persone nel villaggio di Asilulu, una piccola comunità di pescatori sull’isola di Ambon, vicino alle coste orientali dell’Indonesia. La pesca che era copiosa all’inizio della tradizionale stagione di pesca, le prime settimane di marzo, oggi è sempre posticipata di settimane. La stagione dei temporali, generalmente verso la fine dell’anno, ora inizia settimane prima, riducendo di fatto le sue possibilità di guadagno.

Non posso prevederlo più”, afferma Salsabila, 51 anni. “Con gli improvvisi cambiamenti dei venti, non posso lavorare. Sono andato nell’oceano molte volte, ma sono tornato senza niente.

I ricercatori sul clima affermano che il surriscaldamento degli oceani – una delle conseguenze del cambiamento climatico – ha già avuto un effetto tangibile sulla pesca globale, riducendola in alcune regioni e aumentandola in altre.
Il cambiamento climatico potrebbe condurre le popolazioni di tonno del Pacifico occidentale verso est e verso latitudini più alte.
Il Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) ha previsto che l’Indonesia sarà tra i paesi più colpiti in Asia da questa continua “ridistribuzione” del mercato ittico.

Questa instabilità ha già un impatto negativo qui nel nord di Ambon, dove il 90% delle famiglie si sostiene con la pesca. Il tonno viene venduto alle compagnie indonesiane, che lo spediscono in tutto il paese e all’estero.

Salsabila racconta che di solito rientrava dalla pesca con otto grandi tonni; ultimamente, ne pesca due al massimo.

Questa nuova realtà costringe alcune famiglie di pescatori a cercare di diversificare i loro guadagni: prendere altri tipi di pesce, o integrare con l’attività agricola; ma altre tipologie di pesce rendono meno soldi e non ci sono molti terreni coltivabili sull’isola di Ambon, ha detto Subair Abdullah, professore presso l’Università statale islamica di Ambon che ha studiato come i pescatori Asilulu si stanno adattando ai cambiamenti climatici.

Subair ritiene che il cambiamento del clima stia mettendo la comunità di pescatori a rischio di una “crisi alimentare” per la quale non sono preparati.

I pescatori colpiti non sono ancora consapevoli che ciò che stanno vivendo è il cambiamento climatico“, spiega Subair. “Questo rende difficile adattarsi“.

  1. https://altreconomia.it/reportage-turkana/