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OltrEconomia Festival 2019 – La criminalizzazione delle migrazioni e della solidarietà ha agevolato i populismi

Il report del dibattito con Duccio Facchini di Altreconomia e Pia Klemp di Iuventa10

Photo credit: Mattia Cappelletti

Probabilmente mai prima d’ora è stato visibile un così marcato campo di battaglia attorno alle migrazioni e alle molteplici forme di solidarietà e resistenza a supporto dei migranti e per la libertà di movimento. E’ da questo spunto che il dibattito “Diritto di migrare e criminalizzazione della solidarietà”, all’interno della sesta edizione dell’OltrEconomia Festival di Trento, inizia per andare ad indagare come questo campo di battaglia sia costantemente sotto pressione a seconda delle scelte politiche dell’Unione Europea e dei singoli stati membri. L’attacco alla figura del migrante attraverso una sequela incessante di accordi/direttive/prassi è evidente, ed è maggiormente enfatizzata da quelle che oggi sono le forme di populismo europeo che, come nel caso del governo italiano, hanno incrementato gli attacchi ai diritti delle persone migranti e alle organizzazioni solidali che intervengono in quei luoghi dove bisogna salvare vite umane. La retorica usata contro le Ong non parte esclusivamente da Salvini, bensì avviene dopo il codice di condotta di Minniti, propedeutico agli accordi con la Libia, e dalle politiche dell’UE che hanno deciso di esternalizzare e sigillare i confini del vecchio continente. Di pari passo è aumentata la criminalizzazione verso tutte le organizzazioni umanitarie, autorganizzate, di volontariato o solidali che supportano i migranti lungo i confini o nelle città, e verso coloro che sono impegnati nel complicato mondo dell’accoglienza. In Trentino, ad esempio, i tagli al sistema di accoglienza e la perdita di 150 posti di lavoro per gli effetti del decreto sicurezza e immigrazione sono anche il risultato di una narrazione tossica che ha colpito proprio gli operatori sociali perché colpevoli di essere dei lavoratori che forniscono un servizio ai migranti.

In questo quadro il ruolo dell’informazione è fondamentale per far conoscere la verità di quanto avviene. Secondo Duccio Facchini, giornalista di Altreconomia, una rivista indipendente che compie 20 anni, nonché autore del libroAlla Deriva” «vi è stata una sovrapposizione strumentale della questione richiedenti asilo con una “gestione sensata” dell’immigrazione regolare e strutturata. Nel libro – spiega l’autore – parliamo di quella che a noi sembrava una banale strategia di fronte all’immigrazione che sta però pagando in termini elettorali in Europa. Quando è andato in stampa iniziava il caso Diciotti, abbiamo toccato il tema delle migrazioni, della presentazione della Libia come porto sicuro, dell’Unione europea, dell’accoglienza prima dell’entrata in vigore del decreto sicurezza. Proprio il numero di giugno della rivista, dal titolo “Mare Buio”, chiude un cerchio che si è aperto con quella pubblicazione».

«La stagione che stiamo vivendo oggi – afferma il giornalista – non è una stagione che si può riassumere in tappe recenti dell’ultimo anno o dell’ultimo esecutivo, perché dobbiamo avere in mente bene le tappe precedenti senza le quali non possiamo avere in mente un’indagine che altrimenti sarebbe monca. Gli accordi con la Libia del febbraio 2017 anticipano la stagione di criminalizzazione delle Ong, e il codice di condotta non lo hanno fatto i “populisti” perché si era affermata l’idea che per togliere spazio ai populismi bisognasse spegnere la luce sul Mediterraneo. In questo preciso momento assistiamo a un sostanziale azzeramento degli assetti umanitari ed istituzionali nel Mediterraneo; salvo alcune eccezioni si usano solo assetti aerei che come mandato devono avvertire la cosiddetta guardia costiera libera per riportare le navi a Tripoli.

Tutto ciò ha una traduzione pratica delle politiche europee nel Mediterraneo centrale: aver aggirato una sentenza della Corte europea del febbraio 2012 che aveva sanzionato il nostro paese per aver effettuato respingimenti diretti. La strategia con la messa in campo della guardia costiera libica è così chiara.
Il paradosso che osserviamo oggi è che chi opera nel Mediterraneo centrale non lo fa disobbedendo ma rispettando il diritto internazionale – conclude Facchini -. Il soccorso in mare è un obbligo internazionale, non c’è solo un approccio solidale ma una ormai drammatica richiesta di rispetto degli accordi internazionali che gli Stati europei stanno violando convinti che possano arginare un fenomeno semplicemente facendo morire la gente in mare».

Pia Klemp, ex capitana di Sea Watch e Iuventa, ha subito sulla propria pelle la campagna di criminalizzazione verso chi rispetta le convenzioni internazionali e salva vite umane. La Ong tedesca di cui faceva parte – la Jugend Redett – è stata la prima Ong ad essere colpita con il sequestro dell’imbarcazione a Lampedusa nell’agosto del 2017. Su quella nave era imbarcato Tommaso Gandini di Melting Pot Europa, e ora referente italiano della campagna “Iuventa10”.

«Le ragioni dietro al sequestro della Iuventa sono più chiare ora, dopo 2 anni – dice Pia -. Si voleva rimuovere i testimoni dal Mediterraneo centrale e bloccare le azioni di solidarietà delle navi umanitarie che agivano con gli obiettivi di salvare le persone in mare e di portare un messaggio di solidarietà politica molto forte di fronte all’Europa. Noi siamo stati colti di sorpresa – prosegue la capitana ricordando il sequestro del 2017 – . Essendo un’organizzazione piccola, non avevamo neanche un team legale in grado di reagire, poi in maniera diversa è arrivato l’attacco a tutte le altre Ong poiché si è costruita e diffusa una narrazione falsa, quella dei legami criminali fra le Ong e i trafficanti. Questo messaggio purtroppo ha funzionato e quasi tutte le Ong sono state costrette ad abbandonare il Mediterraneo. L’attacco a Iuventa ha rappresentato un passo dentro un quadro più grande per eliminare qualsiasi tipo di testimone diretto nel Mediterraneo».

Se l’Italia è stata in prima fila nel favorire questo vero e proprio teorema – e che oggi ripropone per impedire a Mediterranea, Sea Watch e Open Arms di operare – la Germania non ha voluto essere in questi anni una voce fuori dal coro. La sede principale di Iuventa10 è a Berlino e gli attivisti sono impegnati nel movimento Seebrücke.

«Per iniziare – spiega Pia – dal punto di vista politico ed istituzionale, in Germania c’è una situazione molto oscura, il governo evita qualsiasi tipo di responsabilità nei confronti di quanto accade sui confini. La Germania supporta la riforma di Dublino, si rifiuta di trovare dei metodi alternativi efficaci, efficienti ed umani per garantire la circolazione delle persone, anzi cerca di non assumersi alcuna responsabilità lasciandola tutta agli stati di frontiera».

«Nella società civile tedesca – continua – non è un buon periodo, c’è crescita dei movimenti di estrema destra, con comportamenti aggressivi e legittimità pubblica crescente rispetto agli anni scorsi. Inoltre queste organizzazioni supportano in maniera scandalosa le milizie estere come quelle libiche. Dall’altra parte – afferma Pia – c’è una grossa parte di società civile che rifiuta queste narrative, c’è un movimento reale che porta migliaia di persone in piazza di mese in mese nelle diverse città della Germania. Bisogna dare voce a questa società civile che lavora e presenta alternative reali ai populisti e alle frange di estrema destra».

Tornando alla Libia è emerso come gli accordi non favoriscano solo organizzazioni criminali dedite al traffico, ma come questi patti siano volano economico per alcune aziende italiane.

«A partire da un paio di anni – spiega Duccio Facchini – ci occupiamo di questi accordi e degli atti politici contestabilissimi, occupandoci poi anche della traduzione pratica di questi accordi. L’Italia è impegnata in Libia in molte missioni internazionali e fa appalti per donare servizi e beni alle cosiddette autorità competenti libiche. La fornitura delle imbarcazioni è sostanzialmente nelle mani di una azienda di Adria (RO), Il Cantiere Navale Vittoria, che costruisce e mette in efficienza navi militari. L’azienda è ritenuta un partner strategico dal nostro ministero dell’interno, rimette in efficienza le navi della guardia costiera libica e talvolta ne costruisce di nuove.

Non si tratta – conclude il giornalista – solo di forniture che hanno a che fare con il mare, ma di tutta una serie di strumentazioni specifiche e di consulenza strategica alle ex milizie libiche della guardia costiera per il contrasto all’immigrazione irregolare. Sono appalti italiani con risorse italiane, a beneficio di imprese italiane. E l’ultimo appalto è del 3 maggio, un mese dopo l’inizio del conflitto libico, per la dotazione di 15 telefoni satellitari alla guardia costiera libica donati dall’Italia nel cuore dell’esternalizzazione della frontiera».

Nell’ultimo giro di interventi è Tommaso a illustrare le prossime iniziative e tappe della campagna.

«In questo momento – spiega l’attivista – l’intera campagna è visibile dal sito web (https://iuventa10.org) e dalla pagina Iuventa10, mentre il processo per il sequestro della nave non è iniziato, gli accusati sono 10 ma le indagini non sono ancora chiuse. In questa situazione particolare non ci diamo per vinti, raccogliamo interesse e sostegno, e in autunno saremo con un tour in Italia perché quando il processo inizierà avremo bisogno di una risposta veloce chiara e determinata, perché gli indagati rischiano fino a 20 anni di carcere. Al tempo stesso abbiamo attivato un crowdfunding, il caso è molto complicato e le spese legali superano i 500 mila euro.

Stiamo pure lavorando alla creazione di un network europeo sulla criminalizzazione delle azioni in frontiera tra gruppi di attivisti criminalizzati per dare risonanza alle storie. Le accuse hanno il tratto comune di essere volte a spaventare e ridurre le naturali resistenze di coloro che decidono di aiutare le persone migranti. La repressione fa danni anche perché molto spesso i volontari non sono abituati a questi meccanismi.
Saremo – conclude Tommaso – al Transborder Summer Camp a Nantes e parteciperemo al viaggio in Tunisia a Zarzis per conoscere e relazionarci con le realtà di quel paese, e sicuramente scenderemo nuovamente in piazza per far vedere che molte persone della società civile non sono d’accordo con quanto sta succedendo».

Redazione

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