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Qual è la realtà della protezione ai rifugiati in Messico? (Seconda parte)

Parte seconda – Alcuni aspetti procedurali

Il titolo quarto della Legge e del Regolamento riguarda gli aspetti procedurali della determinazione dello status di rifugiato.

La prima questione che vogliamo affrontare riguarda le disposizioni previste dall’art. 18 della Legge, secondo il quale il richiedente ha 30 giorni lavorativi dalla propria entrata nel territorio nazionale per presentare la propria richiesta.

La richiesta deve presentarsi alla Comisión Mexicana de Ayuda a Refugiados (COMAR) o, se la Commissione non è presenta nell’entità federativa di richiesta, all’Instituto Nacional de Migración (INM), che ha il dovere di avvisare la Commissione entro le 72 ore seguenti dalla ricezione della richiesta (ex art. 17 quarto comma del Regolamento).

È importante evidenziare che una delle più grandi difficoltà nell’iter di riconoscimento della protezione internazionale riguarda il fatto che in Messico la COMAR conta solo tre uffici operativi: Tapachula (Chiapas), Città del Messico e Acayucan (Veracruz). L’ufficio di Città del Messico è responsabile delle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato nelle restanti entità federative, ciò comporta saturazioni di istanze nei diversi uffici, che generano violazioni alle garanzie procedurali di diversa gravità.

La questione dunque relativa a una limitante ratione temporis dovrebbe essere “ammorbidita” dall’art. 19 del Regolamento, dove si specifica che fattori che giustificano la disapplicazione della clausola temporale includono “cause indipendenti dalle proprie volontà [per cui] non gli fu materialmente possibile presentare [la richiesta]”. Purtroppo, le cause di force majeure non considerando la non conoscenza dell’esistenza del sistema di protezione a rifugiati, o le specifiche relative all’accesso al procedimento.

Questa disposizione è di natura particolarmente grave, considerando che presume che la persona richiedente si riconosca come rifugiata e si avvicini alle autorità non appena entri in Messico. Chiaramente, non sempre può essere così: soprattutto nel contesto messicano, i richiedenti asilo arrivano spesso da realtà modeste, con un background educativo che nella maggior parte dei casi non va al di là della scuola elementare. Inoltre, a causa dell’attitudine delle autorità e dell’esperienza personale nei differenti paesi d’origine, dove le forze militari e di polizia sono spesso e volentieri corrotte e parte stessa del circolo di persecuzione, le persone migranti e richiedenti asilo fuggono dalle autorità messicane per paura di essere deportate o, peggio, vittime di abusi e gravi violazioni ai diritti umani.

Un caso particolare riguarda le persone di nazionalità venezuelana, che nella maggioranza dei casi entrano in Messico attraverso frontiere aeroportuali: oltre a casi gravissimi di respingimento in frontiera, generalmente non è facilitata la possibilità di richiedere asilo direttamente al momento dell’ingresso. In questi casi, le persone entrano nel Paese con un visto turistico valido solo per 180 giorni, che complica non poco l’accesso alla richiesta di asilo quando si è già nel territorio nazionale.

Recentemente, si stanno riproponendo alcune situazioni preoccupanti che colpiscono direttamente i cittadini venezuelani: spaventati dai tempi estremamente lunghi della burocrazia messicana, ricevono informazioni da connazionali che li consigliano a non richiedere asilo in frontiera. Nel momento in cui decidono di richiedere l’asilo, la loro richiesta è considerata dagli ufficiali dell’INM “tardiva” e quindi “non ammissibile e non veritiera”; questo trattamento ostile è un abuso che sta diventando “sistematico” e comporta successivi respingimenti e deportazioni.

Oltre alla limitazione temporale per le persone migranti nel richiedere protezione internazionale, il Regolamento limita anche il movimento nel territorio nazionale, obbligando le persone richiedenti a non potersi muovere dall’entità federativa in cui hanno fatto l’istanza di protezione.

Nel caso in cui si muovano senza richiedere e ricevere autorizzazione dalla COMAR, e siano localizzate dall’INM, la propria richiesta di asilo viene considerata abbandonata (ex art. 24, quarto comma).
Con riferimento a quanto sopra esposto, il richiedente ha però la possibilità (ex art. 23 del Regolamento) di richiedere il trasferimento del fascicolo a un’altra entità federativa; tuttavia, il rispetto di questa possibilità è totalmente discrezionale. Oltretutto, occorre notare che la maggioranza delle richieste di asilo sono presentate nel sud del Paese, in cui c’è un tasso di violenza molto alto, corruzione generalizzata, presenza di agenti persecutori centroamericani, e in generale scarsi mezzi di sussistenza.

Le procedure per il trasferimento sono nell’insieme abbastanza lente, questo pone i richiedenti asilo, che hanno necessità urgenti di trasferimento per ragioni di sicurezza, di fronte alla decisione se rimanere esposti a eventuali rischi oppure abbandonare la richiesta di asilo.
In termini pratici, tali ritardi rappresentano un ostacolo notevole per molti richiedenti asilo, e richiederebbe uno studio ben più approfondito riguardo la legalità stessa dell’articolo in questione: una persona rifugiata è riconosciuta tale, il che significa che i diritti fondamentali a protezione dell’individuo devono essere validi ed applicabili a partire dal momento in cui la persona manifesta la propria necessità di protezione internazionale.

Ci chiediamo, dunque, come sia possibile che una norma federale che ha ripercussioni di carattere amministrativo possa rappresentare una spada di damocle così forte per una persona richiedente asilo; o meglio, come si possa dichiarare aderente al principio di legalità, la scelta di considerare non più necessaria la protezione internazionale a un individuo per il solo fatto di muoversi all’interno del Paese in cui ha richiesto la protezione internazionale.

Sebbene l’art. 24 prevede una possibilità remota di riaprire il procedimento se si è in grado di giustificare l’abbandono per cause di forza maggiore, in generale, ci chiediamo se una deportazione in base a questa interpretazione non violi il principio perentorio di non refoulement.
In aggiunta, lo stesso articolo 24 al secondo comma, prevede che il richiedente debba recarsi settimanalmente all’ufficio della COMAR di riferimento (o dell’INM, nel caso in cui la COMAR non sia presente) per dare prova all’autorità che risieda nell’entità federativa di riferimento, e per ricevere eventuali notifiche sul proprio procedimento. Nel caso in cui il richiedente non si presenti per due settimane consecutive, il fascicolo sarà considerato chiuso.

Alcune questioni specifiche relative al procedimento amministrativo

L’intero procedimento amministrativo è previsto che duri 45 giorni lavorativi (art. 24 della Legge), ma può essere ampliato per un tempo uguale nel caso si verifichino i presupposti del terzo comma dello stesso articolo:

  1. Assenza di informazioni riguardo i fatti su cui si basa la richiesta di asilo.
  2. Assenza di traduttori o specialisti rilevanti che possano facilitare la comunicazione con la persona richiedente.
  3. Impossibilità di realizzare l’intervista per ragioni relative alle condizioni di salute della persona richiedente.
  4. La petizione della persona di apportare elementi o prove ulteriori a sostegno della richiesta di asilo.
  5. Qualsiasi ulteriore circostanza derivata dal caso fortuito o da cause di force majeure che rendano impossibile il corretto proseguo del procedimento.

Il procedimento è diviso in una fase scritta e una fase orale. Un rappresentante legale ha la possibilità di assistere il richiedente in ogni momento (art. 21, comma 5 delle Legge; art. 20 del Regolamento); tuttavia, non esiste nessun protocollo che permetta all’Istituto Nazionale di Difesa d’Ufficio di accedere direttamente ai richiedenti asilo e offrire i propri servizi, limitando gravemente il diritto dei richiedenti di godere di una difesa effettiva.

La fase scritta del procedimento rappresenta il primo vero avvicinamento del richiedente con le autorità. Al richiedente si richiede di riempire moduli estesi e ripetitivi, compito che risulta arduo nel caso in cui il richiedente non abbia un grado di istruzione insufficiente e il supporto di un rappresentante legale.
La rilevante interpretazione della Corte Federale di Giustizia Canadese in Mohacs (2003) ha ricordato un principio chiave dell’accesso al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato: tutto il processo deve considerare il background socio-culturale, l’età, lo status socio-economico, il grado d’istruzione e qualsiasi condizione psico-emozionale del richiedente.

Questa interpretazione è (in teoria) riflessa nella legislazione messicana, che prevede che le autorità devono facilitare l’accesso a qualsiasi procedimento di carattere amministrativo, giudiziale o di qualsiasi altra natura, soprattutto se la popolazione di riferimento è considerata vulnerabile. Senza dubbio, tanto il formato per se, quanto l’atteggiamento delle autorità (soprattutto dell’INM) non rispettano questa visione.

La fase orale è normalmente divisa in due interviste: una prima, il cui obiettivo è individuare eventuali necessità specifiche del richiedente (mediche o psicologiche, per esempio) e raccogliere informazioni anagrafiche generali. La seconda intervista, invece, rappresenta il vero e proprio colloquio di riconoscimento dello status di rifugiato: il richiedente è messo a tu per tu con il solo rappresentante della COMAR e (eventualmente) con l’assistente legale.

Succede spesso che le interviste siano effettuate per via telefonica nelle entità federative in cui non è presente una delegazione della COMAR, in una forma apertamente contraria all’art. 27 del Regolamento, ovvero al diritto del richiedente di essere accompagnato in ogni momento da un rappresentante legale e ai principi generali del giusto processo. Sebbene la legge sia apparentemente chiara, l’assenza di fondi stanziati non permette alla COMAR di garantire un servizio migliore da quello attualmente offerto.
Anche il Comité Esecutivo dell’ACNUR ha affermato nella propria Conclusione n. 8 (1977)1, che il richiedente ha diritto a ricevere un’intervista individuale non telefonica, e ha specificato, con la Conclusione n. 30 (1983)2, che il mancato rispetto di tali garanzie può avere gravi conseguenze per il richiedente che possono portare a un provvedimento erroneo e a gravi violazioni procedurali.

Un altro elemento centrale che vale la pena di sottolineare riguarda la revittimizzazione: le domande effettuate sono spesso ripetitive e provocatorie, proposte in una forma che punta a creare confusione e crolli psico-emotivi del richiedente. In aggiunta, in molti casi l’ufficiale incaricato al colloquio non mostra nessuna empatia per richiedenti vulnerabili (vittime di gravi violazioni, di tratta o bambini, per esempio), che ricevono la stessa fredda intervista di un richiedente “comune”, cosa che crea barriere emozionali forti. In questi casi, che hanno una diretta ripercussione sul risultato finale dell’intervista, sarebbero necessarie interruzioni e colloqui maggiormente accorti.

In ultimo, però non per importanza, la qualità generale delle domande nella fase orale è scadente, principalmente concentrata nel richiedere informazioni temporali e basata sulla revisione dell’accuratezza delle stesse, sottintendendo l’interpretazione secondo la quale “se qualcosa che è successa nella tua vita si può definire persecuzione, la linea temporale dei fatti sarà chiarissima”. Secondo la Hungarian Helsinki Committee Credibility Assessment Guidelines (2013), quest’affermazione è semplicemente sbagliata (p. 59 e ss.) e mostra che gli ufficiali incaricati della determinazione non hanno nessuna idea di come reagisce la memoria umana ad eventi traumatici riguardanti atti o questioni che possono identificare i presupposti della persecuzione.
Oltre a dimostrare un’ignoranza multidisciplinare degli ufficiali esaminatori, questa interpretazione è generalmente contraria alla normativa vigente.

Le prossime due parti dell’approfondimento si concentreranno nell’illustrare alcuni punti in aggiunta del procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, per concludere con una quarta parte relativa alle possibilità esistenti di accesso a modalità di ricorso amministrativo o giudiziale, di fronte a un eventuale diniego della richiesta di asilo.
Inoltre, si tratterà nello specifico anche della fase seguente all’eventuale riconoscimento di una forma di protezione internazionale, delle difficoltà annesse per accedere ai diritti dovuti a coloro ai quali sia stato riconosciuto lo status di rifugiato o concessa la protezione sussidiaria.

  1. ACNUR ExCOM (1977). Determination of Refugee Status Determination of Refugee Status
    No. 8 (XXVIII). Disponibile su: http://www.unhcr.org/excom/exconc/3ae68c6e4/determination-refugee-status.html
  2. The Problem of Manifestly Unfounded or Abusive Applications for Refugee Status or Asylum No. 30 (XXXIV) – 1983. Disponibile su:
    http://www.unhcr.org/excom/exconc/3ae68c6118/problem-manifestly-unfounded-abusive-applications-refugee-status-asylum.html