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Rigetto della domanda reiterata di protezione – Per il Tribunale il diritto al lavoro e le migliori condizioni di vita raggiunte dal richiedente giustificano la concessione della protezione umanitaria

Tribunale di Bari, decreto del 13 marzo 2019

Il caso riguarda un cittadino ivoriano reduce, come molti richiedenti asilo, da un complicato iter giudiziario, il quale aveva ricevuto un rigetto della richiesta di protezione internazionale o umanitaria sia in primo grado e sia in Corte d’Appello.

Assistito successivamente dall’Avv.ta Mariagrazia Stigliano aveva fatto domanda reiterata, anche questa recante diniego dalla Commissione territoriale per inammissibilità ex art. 29 lett. b d. lgs. n. 25/08.

Il Tribunale di Bari, sezione specializzata in materia di protezione internazionale, una volta premesso che trattandosi di domanda incardinata precedentemente all’entrata in vigore del d.l. n. 113/18 (5.10.2018), recante “disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione“, essa resta insensibile alle innovazioni introdotte dal “decreto sicurezza”, ha invece verificato gli estremi per la concessione del diritto alla protezione umanitaria ai sensi dell’art. 5, co. 6, d.lgs. n. 286/1998.

Secondo il Giudice: “ Si ritiene che nel caso di specie debba essere tutelato, attraverso il riconoscimento della protezione umanitaria, il diritto al lavoro, come posizione soggettiva assoluta del singolo, tutelata dall’art. 35 Cost.
Difatti, l’odierno ricorrente, sia in sede di domanda reiterata che nel corso del presente giudizio, ha documentato di aver stipulato in data 01.10.2016 un contratto di lavoro “a tempo indeterminato” parziale per n. 25 ore settimanali con (…) e con retribuzione mensile di circa € 1.000,00, come da contratto di lavoro, CUD 2017 e 2018, attestazione di avvenuti bonifici dello stipendio e relative buste paga (da luglio 2017 a novembre 2017, da febbraio 2018 a maggio 2018, da luglio 2018 a gennaio 2019), tutti versati in atti. Inoltre, ha comprovato di aver stipulato un contratto di locazione ad uso abitativo in data 04.05.2017.
Si ritiene inoltre che il ricorrente goda attualmente di una retribuzione adeguata ai sensi dell’art. 36 Cost., essendo la stessa conforme al minimo previsto dalla legge per la qualifica rivestita.
Si aggiunga inoltre che l’oggettiva stabile collocazione dell’istante nel mondo del lavoro, così come dimostrata nel caso concreto, porta a ritenere integrati i requisiti dell’inserimento dello straniero nel nostro tessuto sociale, per cui la sua posizione risulterebbe fortemente incisa dal rifiuto della protezione umanitaria.
In altri termini, la valutazione comparativa tra la situazione di integrazione raggiunta dal ricorrente in Italia e la sua situazione soggettiva e oggettiva con riferimento al paese di origine porta a ritenere integrati i presupposti per l’accoglimento della protezione umanitaria (in tal senso Cass. n. 4455/2018). Si può dunque ritenere che il rimpatrio forzoso nel paese di origine esporrebbe il ricorrente ad una situazione di particolare vulnerabilità incidendo sulla sua dignità personale, essendo orfano dei suoi genitori e tenuto conto che nel suo paese d’origine incontrerebbe gravi ed insormontabili difficoltà nel tentativo di ricostruirsi una vita, peraltro in un paese con una situazione socio-politica difficile come la Costa d’Avorio.
Invero, il ricorrente, che in Italia conduce un’esistenza dignitosa (circostanza comprovata dalla documentazione lavorativa e dal contratto di locazione, in atti), si troverebbe in caso di ritorno nel suo paese, a dover fronteggiare la situazione di indigenza che caratterizza la Costa d’Avorio (suo paese di provenienza), dove questi, peraltro, come emerge ex actis, aveva dovuto interrompere gli studi perché “era difficile per i miei genitori. Quell’anno mio padre è stato licenziato” (cfr. verbale di audizione del 09.07.2014); inoltre sarebbe bruscamente interrotto il percorso di stabile integrazione sociale fin qui raggiunto
“.

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Tribunale di Bari, decreto del 13 marzo 2019