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Roma – La lunga resistenza di Casal Bruciato

Cronaca dal presidio in solidarietà alla famiglia rom

Photo credit: Vanna D'Ambrosio, Casal Bruciato - 8 maggio 2019

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Se camminavi a Casal Bruciato, il giorno del corteo solidale contro l’assedio di Casapound – concesso per fermare l’arrivo di 14 componenti di una famiglia rom in una casa popolare di cui è assegnataria – guardando attorno e sopra di te, ai balconi e alle finestre sui palazzi della periferia est, non avresti mai potuto pensare di trovarti in un quartiere “fascista”. Te lo diceva chi, in quella zona, da oltre 40 anni ci abitava e ci viveva.

Tu la vedi adesso, ma non ti credere, questa è stata un nodo centrale per il comunismo, una roccaforte rossa” mi ha immediatamente detto un dirimpettaio della famiglia Sejdovic (l’appartamento è stato assegnato alla moglie), sceso in strada per rivendicare la propria identità.

In effetti, a Casal Bruciato, negli anni 60-70, si sono incrociati i percorsi degli ultimi, dei ‘baraccati‘ del sud, degli operai irregolari; qui si sono radicate e diffuse le lotte per il diritto all’abitare, per l’uguaglianza e contro le discriminazioni; da qui si è formata la lunga resistenza dei senza casa; ricordavano le voci dei megafoni e dei residenti.
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Ma questo è stato, poi, lo stesso quartiere che la politica ha abbandonato.
Da circa 20 anni qui non si vede più nessuno” aggiunge il vicino. E lo potevi vedere con i tuoi occhi, il risultato finale di quella politica indecorosamente assente: buche, cassonetti stracolmi di immondizia, giardini inaccessibili, trasporti a intermittenza, sparatorie da far west, muffe, tubature obsolete, incrostazioni, topi ovunque e un banchetto dell’ultradestra a impartire leggi razziali.

Ecco quello che succede se esiste una politica che fa soltanto pretesa e danaro di questo nome“: era, in breve, il messaggio del mio Virgilio, mentre osservava le finestre chiuse del secondo piano di via Satta che vietavano il mondo alla famiglia rom.
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Una tragedia annunciata, mi faceva capire, già dal modo in cui li presentano: “Gli assegnatari adesso sono accompagnati da vigili e polizia, al tempo, invece, venivamo prima inseriti, gli assistenti sociali ci presentavano ai condomini, come entrassimo a far parte di una grande famiglia, era un percorso differente. Adesso ti posano e se ne vanno“.

Una guerra che sarebbe esplosa nel miglior momento, proseguiva, facendo leva sui malcontenti delle famiglie a cui è stato tolto sempre di più. “Alcuni di noi non aspettano altro di essere fomentati per risolvere questioni, prepotenze e dispute private di cui nessuno, democraticamente, si è mai interessato. Vedi quel parchetto laggiù, è sempre stato ricoperto e lasciato al pattume ma da quando alcuni l’hanno pulito, non puoi entrarci più. E’ diventato di loro proprietà“.

Stare tra le persone di Casal Bruciato era capire che quel triangolo di terra e i suoi problemi non appartenevano a nessun’altra persona se non a loro, che non gradivano altre strumentalizzazioni, né dalla governance di destra né da quella di sinistra, sui cui lasciti si è annerita la realtà.
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Camminare tra gli incroci di via Satta era rendersi conto che quel quartiere apparteneva ed era appartenuto solo a chi era in grado di poter raccontare della sua storia di popolo e unione; era riappropriarsi di uno spazio urbano ed umano, speculato e venduto dai politicanti; era denunciare un gioco impari, in copia conforme ad una propaganda di governo, dove i più forti ancora vogliono vincere sui più deboli.

C’erano gli italiani malamente sfrattati per cui né lo Stato né i militanti di destra avevano avuto alcuna tenerezza e le testimonianze che parlavano di speculazioni, mafie, partiti, collusioni e affari, apostrofati come piani alloggiativi ed assistenza alla persona.
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Camminare a Casal Bruciato era leggere che la povertà non è un crimine, come il fascismo.

Ma quel giorno, a Casal Bruciato, non riuscivi a capire perché il gruppo militante di neofascista stesse ancora lì ad inneggiare all’odio e alla violenza, ad urlare discriminazioni e propagandare razzismo, esaltando lo stupro, la morte e la minaccia. Non si capiva come fosse stato possibile impiantare un gazebo, all’interno di un cortile condominiale, da cui si potesse terrorizzare una donna con in braccio una bambina alle grida di ‘Troia, ti violento‘.

Non era chiaro, quel giorno al corteo, perché le forze dell’ordine, che per oltre due giorni assistevano al banchetto e alle violazioni che gli estremisti di Casapound perpetuavano oltre la legge, fossero posizionati verso il corteo solidale. Non riuscivi a capire perché 14 blindati, 1 elicottero, 1 idrante, agenti della polizia e della polizia municipale, fossero stati impiegati per un corteo che alla bandiera italiana sostituiva quella della pace e non per proteggere una famiglia di fronte alla mattanza immorale dei fascisti.
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Un girone di domande, quel giorno a Casal Bruciato, le cui risposte le potevi assaporare soltanto negli occhi di chi, in quel quartiere, ci risiedeva; nella musiche che risuonavano dagli appartamenti e tra persone che richiedono ancora giustizia e valore per ogni povero.

A seguito del corteo, il gazebo di Casapound è stato rimosso mentre la Procura di Roma indaga per istigazione all’odio razziale. Continua invece la staffetta solidale organizzata dalle mamme e dalle maestre per difendere – civilmente – la famiglia minacciata.
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Vanna D'Ambrosio

Conseguita la laurea in Filosofia presso l’Università di Napoli Federico II, ho continuato gli studi in interculturalità e giornalismo. Ho lavorato come operatrice sociale nei centri di accoglienza per immigrati, come descritto nella rubrica “Il punto di vista dell’operatore”. Da attivista e freelance, ho fotografato le resistenze nei ghetti italiani ed europei. Le mie ricerche si concentrano tuttora sulle teorie del confine.