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Rosarno è lo specchio della viltà di questo paese

La morte di Becky Moses non è una fatalità

Photo credit: Nadia Lucisano (la ringraziamo per la gentile concessione).

Raccontare di nuovo Rosarno e il dramma che ci sta intorno è un ulteriore pugno sullo stomaco, l’ennesima sconfitta morale e sociale che lascia inermi, attoniti.
L’incendio che è divampato sabato mattina ha ucciso Becky, una giovane ragazza che aveva lasciato Riace qualche settimana prima, e ferito altri braccianti. La vecchia tendopoli, già messa a dura prova da un altro incendio a dicembre, è stata carbonizzata per una buona metà e gli scheletri delle baracche hanno ora la meglio su un paesaggio di distruzione e, purtroppo, di morte.

Nel corso del weekend, e nei primi giorni della settimana, c’è stato un lungo susseguirsi di articoli, foto, comunicati, proclami, tutti volti a raccontare la tragedia, annunciata, che ha nuovamente colpito la comunità di braccianti che vivono, in condizioni disumane, nella Piana di Gioia Tauro. Una narrazione potente che arriva a mostrare il volto della giovane ragazza morta e che si chiede, come fa SOS Rosarno, “quante morti dobbiamo ancora aspettare per vedere razionali ed efficaci interventi di accoglienza?”. Razionali ed efficaci, per l’appunto. E invece, nell’ultimo decennio, anche dopo la famosa Rivolta del 2010, l’unica soluzione che si è messa in campo è stata la costruzione di nuove tendopoli.
L’ultima nell’agosto del 2017 accompagnata, e questo ci aveva fatto inizialmente sperare, da un protocollo che prevedeva un progetto di accoglienza diffusa per il “superamento della condizione di ghettizzazione in cui vivono migliaia di braccianti agricoli nella zona industriale di San Ferdinando e territori limitrofi”. Tante belle parole che ad oggi, purtroppo, non hanno trovato riscontro se non, appunto, nella costruzione di una nuova tendopoli che, tra le altre cose, può ospitare appena 200 braccianti.
E sia chiaro, l’emergenzialità regna sovrana a San Ferdinando. Dopo l’ultimo incendio il Prefetto di Reggio Calabria ha fatto montare una tensostruttura per dare riparo ai circa 600 braccianti rimasti senza baracca e, nel susseguirsi di incontri e riunioni, è scaturita l’idea di ampliare la tendopoli con altre tende ed avviare l’iter per la costruzione di un centro di accoglienza a Gioia Tauro. L’emergenza dell’emergenza dentro l’emergenza.

Sta di fatto che, di fronte all’immobilismo istituzionale, che a questo punto sembra quasi voluto e pensato, esiste uno status quo da mantenere e consolidare perché gli agrumi vanno raccolti, i soldi sono pochi, e i lavoratori, anello debole della catena, vanno sfruttati. Mettiamoci poi una difficoltà territoriale di una zona dove si sente la disoccupazione ed è grande la voglia di andarsene, di scappare da una Piana depressa e devastata, lasciando così un contesto sociale pressoché sguarnito di quella vitalità che porterebbe ad una lotta giusta e sana.

L’invisibilità delle condizioni dei braccianti nel sud Italia, a Rosarno in particolare, è uno dei tanti elementi che contraddistingue una società drogata di viltà, immersa in paure ataviche e spesso irrazionali, sconvolta da rigurgiti da tastiera, machista e violenta, abituata alla morte “degli altri” come una giusta punizione per aver messo piede nel “sacro suolo italiano”.
Rosarno rappresenta oggi il grande bubbone dell’accoglienza italiana tra interessi economici, mala gestione, politiche discriminatorie e capipopolo che starnazzano di razze e primati in un clima di totale indifferenza.

La dignità s’è persa, così, tra le acque increspate del nostro mare, nelle gelide montagne di confine, nella terra bruciata e fumosa di baracche nascoste.

Ciao Becky!

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Matteo De Checchi

Insegnante, attivo nella città di Bolzano con Bozen solidale e lo Spazio Autogestito 77. Autore di reportage sui ghetti del sud Italia.
Membro della redazione di Melting Pot Europa.