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Se l’Italia non vuole darmi il documento proverò da un’altra parte

di Camilla Donzelli, operatrice legale

Photo credit: Vanna D'ambrosio (Roma, Manifestazione nazionale Indivisibili)

Io e K. stiamo in piedi uno davanti all’altra, fermi ad aspettare che il poliziotto dall’altra parte del vetro ci chiami per consegnare tutti i documenti necessari al rinnovo del permesso di soggiorno temporaneo.

Io, come sempre quando vengo in Questura, indosso abiti a cui tengo poco e che mi piacciono poco. Già so che stasera, non appena avrò varcato la soglia di casa, proverò l’irrefrenabile impulso di strapparmi immediatamente di dosso tutto quanto per lavare via la rabbia, il nervosismo e la frustrazione che abitualmente mi si appiccicano addosso durante le mattine di lavoro all’Ufficio Immigrazione; preferisco evitare questo accumulo di scorie ai miei vestiti preferiti.

K., invece, è elegantissimo: porta una camicia bianca perfettamente stirata e un completo scuro corredato da un fazzoletto di seta nel taschino della giacca. Mi diverte pensare che qualcuno, guardandoci, potrebbe benissimo supporre che lui sia un avvocato e io, col mio maglione largo e sgualcito e gli anfibi, la sua assistita.

Estenuato dall’attesa, K. comincia a condividere con me alcune considerazioni sul trattamento che la burocrazia italiana riserva ai richiedenti asilo.

Mentre parla noto quasi subito la cicatrice che parte dall’angolo destro della bocca, una piccola linea lunga e sottile che corre verso l’alto fino ad arrivare all’altezza delle narici. La mia attenzione è attratta dal modo ipnotico in cui quel piccolo segno chiaro esalta i lineamenti e le espressioni del suo bel viso, rotondo e delicato, amplificandone i movimenti delle labbra.

Vedi, mi dice, io ho una mia filosofia: non penso che esistano persone buone e persone cattive, ognuno cambia il proprio comportamento in base alla situazione.

Lo incalzo, per capire dove vuole portarmi con il suo ragionamento.

Io seguo molto la politica italiana, continua, e seguo soprattutto tutti quei personaggi che sono contro l’immigrazione. È troppo facile ascoltare sempre e solo chi ti vuole. Penso sia più importante capire le motivazioni di chi non ti vuole, altrimenti le cose come le cambi? Annuisco, sorridendo. I politici che non ci vogliono non sono cattivi, si stanno solo comportando in base alla situazione.

Danno alle persone quello che chiedono, così possono rimanere al potere. Annuisco di nuovo, questa volta amaramente. Ma allora come si cambiano le cose?

Impegnandosi in prima persona, mi risponde. Io, per esempio, ho in mente un progetto. Voglio studiare da vicino le vostre democrazie e poi tornare in Costa d’Avorio per farmi eleggere e provare a cambiare per davvero la situazione.
Gli dico che forse, di uno come lui, avrebbe più bisogno il nostro Parlamento. Scoppiamo in una sonora risata, che invade tutta la stanza.

Un paio di settimane dopo io e K. ci vediamo di nuovo.

Ha ricevuto il rigetto della domanda di protezione internazionale, quindi gli ho dato appuntamento nel mio ufficio per spiegargli il da farsi. Gli dico di non scoraggiarsi, gli dico che ora comincia una nuova procedura non più con la Commissione Territoriale ma con il Tribunale e che, per come stanno andando le cose, con un giudice le possibilità di ottenere una decisione positiva sono maggiori. Lui mi ascolta attentamente. Poi sospira e sorride.

Sai che ti dico, Camilla? Se l’Italia non vuole darmi il documento… beh, proverò da un’altra parte. È così. È la vita. Sospira e sorride ancora.

A questo punto dovrei dirgli che gli conviene aspettare, che uno in gamba come lui potrebbe giocarsela bene con il Tribunale, che andare altrove non è così semplice e comporta dei rischi concreti. Ma non riesco a dire nulla di tutto questo.

Dico solo: hai ragione, vai. Vai via da qui. Anche io, se fossi in te, farei la stessa scelta. E anche se fossi in me, perché quest’aria tossica di intolleranza mi sta togliendo il sonno, incurvando le spalle e increspando le labbra in una perenne espressione di disappunto. A loro piaci solo se in Africa hai perso un braccio, continua K.
Se sei una persona senza problemi evidenti, come me, non vai bene. Loro sono contenti solo se possono dire di aver salvato un poveretto.

Crollo in avanti sulla scrivania, sorreggendomi il mento con le mani. Lo guardo fisso negli occhi e per la seconda volta non posso che dirgli: hai ragione. È esattamente così.

Poi la piccola cicatrice comincia a saltellare sulla guancia di K. Ride di gusto, gli occhi color nocciola sono diventati due fessure. Lo fisso incuriosita, lasciandomi contagiare da quest’allegria improvvisa.

Stavo pensando, mi spiega, che la cosa positiva di tutta questa situazione è che sto imparando che cos’è la burocrazia. Quando tornerò in Costa d’Avorio e verrò eletto creerò un sistema uguale solo per gli italiani che entrano nel mio paese, così magari capiranno! Di nuovo, scoppiamo in una sonora risata che finalmente ci alleggerisce le spalle e il cuore.