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Sea-Watch ha diritto ad un porto sicuro e rispetta la normativa: “non riporteremo le persone in Libia”

Lunedì 17 giugno – Dopo lo sbarco di 10 naufraghi su 53 concesso dal Viminale (“tre minori, tre donne di cui due incinte e due accompagnatori, due uomini malati“) e la dichiarazione di Salvini di “aver firmato – insieme alla ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, e al ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Danilo Toninelli – un decreto interministeriale per il divieto di ingresso, transito e sosta alla nave Sea Watch 3 nelle acque italiane, come previsto dal nuovo Decreto Sicurezza bis”, l’imbarcazione è stata raggiunta nella notte di domenica dalla guarda di finanza. Anche questa volta nel Mediteranno assistiamo all’accanimento del governo contro chi salva vite umane.

Sabato 15 giugno – Seconda notte a sedici miglia dall’isola di Lampedusa, per la Sea-Watch 3 con a bordo 53 migranti soccorsi nel Mediterraneo. Da due giorni la nave è in attesa di una svolta che le permetta di approdare in un porto sicuro. L’imbarcazione, infatti, si trova in acque internazionali al di fuori delle acque territoriali italiane.

Le persone a bordo ci hanno raccontato di aver trascorso lunghi periodi di detenzione in Libia e di aver subito vessazioni inenarrabili – dice la portavoce della Ong, Giorgia Linardi, in un video pubblicato su twitter -. Uno dei naufraghi ha raccontato di essere stato costretto a seppellire cadaveri per preparare il centro di detenzione alla visita di operatori esterni cercando di renderlo più presentabile. Questa è la Libia, il Paese in cui ci viene indicato di portare le persone soccorse: non lo faremo mai“.

E nonostante riportare a Tripoli le persone salvate, come vorrebbe il governo italiano, costituisca un’infrazione alle norme internazionali che impongono il loro trasferimento in un porto sicuro, Salvini ha definito il soccorso dei migranti un “atto di pirateria di un’organizzazione fuorilegge”. Da questa mattina è inoltre in vigore il decreto sicurezza bis che sicuramente verrà usato dal ministro come arma politica di pressione sugli apparati dello Stato e della magistratura per attaccare e reprimere le operazione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.

“Per la prima volta – ha scritto Sea-Watch – è stato cercato di assegnare un “Place of safety” in Libia, da parte della cosiddetta guardia costiera libica. Questa la mail dei libici e la nostra risposta: Sea-Watch non riporterà i naufraghi in Libia – Tripoli non e’ un porto sicuro!

E’ un crimine costringere le persone a tornare nella guerra civile, dove vige detenzione illegale, torture e schiavitù“.

Un possibile appiglio politico per risolvere la situazione arriva dalla portavoce della Commissione Europea Natasha Bertaud, la quale ha affermato che “tutte le navi con bandiera europea devono seguire le regole internazionali e sulla ricerca e salvataggio in mare, che significa che devono portare le persone in un porto che sia sicuro. La Commissione ha sempre detto che queste condizioni non ci sono attualmente in Libia ”.

Un altro aiuto, ha fatto sapere la ong arriva dalla Germania: “Se necessario sono pronto a mandare degli autobus per prendere queste persone” ha dichiarato il sindaco di Rottenburgs, annunciando insieme ad altre città tedesche, tra cui Berlino, la propria disponibilità ad accogliere le persone soccorse dalla Sea-Watch.

Redazione

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