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Sorridere a Idomeni

Marta Peradotto, CarovaneMigranti, di ritorno dalla March #overthefortress

Foto: Laura Panzarasa / Sherwood Foto

Ritorno da Idomeni.
“Grazie per il vostro sorriso my frien(ds)”

Avrei voluto chiedere e ricordarmi tutti i loro nomi perchè dietro ogni nome c’è una persona e non voglio dimenticarmene mai.
Mohammed, scusa se non ti ho trovato le scarpe del numero giusto, del tuo numero, il 42. Ti ho lasciato la mia sciarpa per non sentirti più tossire ma non ti aiuterà a camminare meglio. Hai quindici anni, quando nascevi io diventavo maggiorenne, ma mi hai insegnato tanto di più di quanto possa insegnare io, maestra, in tutta la mia carriera.

Mi hai insegnato come si possa sorridere anche quando si è perso tutto o quasi, come si possa camminare con un paio di scarpe di tre numeri in più fino alla tenda di qualcuno che le scarpe neanche le ha. Mi hai insegnato a dire scarpa in arabo, mi hai ricordato che in arabo “scusa” si pronuncia lentamente perché è giusto che sia così, aggiungo io, perché è l’unica cosa che posso dire a te e alle persone che con te ho incontrato. Tirandomi via da un gruppo di ragazzi più grandi afghani che mi chiedevano con insistenza le scarpe, mi hai detto: questi sono animali, non uomini. Poi, quando, guardandoli allontanarsi, hai visto che uno di loro aveva i piedi storti e camminava a fatica, mi hai fermato e mi hai detto: torniamo da loro a dargli le scarpe, ne hanno più bisogno di me. Sono afghani e io siriano ma sono uomini e ho capito perché le volevano.
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Non posso capire, Mohammed, non posso capire e non potrò mai capire cosa voglia dire avere quindici anni e non sapere dove siano i propri genitori. Non lo posso capire perché a quindici anni io avevo un paio di scarpe numero 41, il mio numero, due genitori vicini e la libertà di spostarmi. Perché, a quindici anni, io la tenda la usavo per andare in campeggio.

Grazie Dalia per i baci che mi hai premuto forte sulle guance, attaccata stretta al mio collo, grazie Inès per la tua risata mentre ti facevo fare la capriola in aria che mi faceva fare mio padre da piccola, Grazie Faiza per avermi insegnato i numeri in curdo, grazie Jasmine per avermi tatuato il tuo nome sul braccio con un pennarello, mi è servito a non dimenticarlo.
Avete l’età dei miei alunni e mi siete maestre.

Shukran Mohammed, di nuovo tu, la mia forza, per avermi portato un bicchiere di the quando mi hai visto con la bocca asciutta di parole. Era buono quel the. Sei buono tu e la bontà non è di tutti. Non è facile essere buoni quando si ha quindici anni e tanta rabbia dentro. Ti ho lasciato il mio numero di telefono, tu mi hai detto che non hai un telefono, io volevo comunque lasciarti qualcosa di me, ti ho detto che magari un giorno avresti avuto un telefono e ci saremmo potuti sentire. Mi hai risposto che un telefono non ce l’hai. E io mi sono dimenticata di scriverti il prefisso dell’Italia.
Inchallah.

Foto: La tenda dei bambini a Idomeni. Foto: Yamine Madani, #overthefortress
Foto: La tenda dei bambini a Idomeni. Foto: Yamine Madani, #overthefortress

Quel sorriso per cui tutti mi avete ringraziato, quel sorriso, lo confesso, all’inizio era d’imbarazzo perché piangere non sarebbe stato giusto, perché non è di tristezza che c’è bisogno ad Idomeni. E allora ho provato a sorridere, per vergogna e timidezza. Ma il sorriso è contagioso, così come mi si riempivano gli occhi di lacrime quando vedevo inumidirsi quelli dei padri, così il mio sorriso si allargava e diventava vero quando lo vedevo sulle bocche dei bambini, dei ragazzi, della donna che, tirandomi il braccio e indicandosi la pancia, mi ha urlato gioiosa: “Vieni, sta nascendo un bambino!!!“. Così, il 26 marzo, giorno del compleanno di mia mamma, a Idomeni è nato un bambino, a due passi da me, dentro ad una tenda Quechua, sui binari di una ferrovia.
A scaldare la sua venuta al mondo, un falò di vestiti e plastica e tanti, tantissimi sorrisi. Perché a Idomeni ho imparato che la vita nessuno la può fermare, che la speranza non muore mai, che la lotta cresce se la si fa insieme.
A Idomeni ho imparato che si può sorridere, si deve sorridere. Sempre e comunque.

Marta, #‎overthefortress‬

Marta Peradotto, Carovane Migranti

Attivista di CarovaneMigranti, vive a Torino e insegna in una scuola primaria. Ha partecipato alla carovana #Overthefortress a Idomeni a marzo 2016 e ha visitato vari campi profughi governativi e spontanei ad Atene, Salonicco e sulle isole greche (Lesvos). In Italia ha avuto modo di conoscere e partecipare da indipendente ai presidi di Ventimiglia e Como.