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“Talking hands”: un opificio autogestito da richiedenti asilo

Succede a Treviso all'interno del Centro sociale Django

I ragazzi dell'opificio "Talking hands" al Centro sociale Django di Treviso

Talking hands” nasce come progetto che mira a creare un percorso di inclusione rivolto a richiedenti asilo e rifugiati coniugando l’attività manuale con il racconto della propria storia, del paese di origine, del viaggio e delle proprie aspirazioni.
Iniziato attraverso la raccolta di testimonianze dirette sulle condizioni di vita dei ragazzi all’interno dei centri temporanei di accoglienza di Treviso ora si sta focalizzando sull’attività laboratoriale con un atelier di falegnameria autogestito, l’opificio “Talking hands” nato all’interno del Centro sociale Django e che sta coinvolgendo un gruppo di circa 15 rifugiati richiedenti asilo.

Collezione
Collezione

La prima collezione “rifùgiati“, sono dei micro-spazi per bambini, dalla forte connotazione grafica ideati dal designer Matteo Zorzenoni in collaborazione con il progetto Talking Hands.
Materiali di riciclo vengono valorizzati da texture dei paesi d’origine reinterpretate in chiave contemporanea dando vita così a delle micro architetture domestiche, delle tane che esprimono il naturale bisogno dei piccoli di crearsi un rifugio, uno spazio privato diverso da quello pubblico, sociale, che li contenga e li protegga aiutandoli a mettere a fuoco la propria identità.

L’opificio è nato come naturale evoluzione di un percorso che si è attivato grazie all’esperienza della palestra popolare “Hurricane”, dove tre giorni la settimana si svolgono attività psicomotorie indirizzate ai rifugiati richiedenti asilo, sono 50/60 i ragazzi che la frequentano con regolarità.
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Fabio Tomaselli e un gruppo di esperti che lo affianca nell’esercizio di preparazione delle attività hanno creato un programma specifico, attraverso dei percorsi che prevedono l’uso dello spazio e degli oggetti si intende favorire i processi di inserimento e di inclusione sociale, migliorare la comunicazione e facilitare l’interazione con gli altri e con la città grazie a delle uscite che vedono il centro storico di Treviso trasformarsi nel teatro delle attività sportive.

Dai ragazzi che frequentano la palestra sono cominciate ad arrivarci le prime informazioni sulle condizioni in cui si trovano, sull’irreggimentazione che subiscono, sul sistema di controllo creato all’interno delle strutture basato sulla delazione e sull’uso poliziesco di operatori a loro volta migranti, assolutamente non formati ne qualificati per assolvere a questa funzione e più avvezzi a praticare sistemi di disciplina basati sulla minaccia di essere estromessi dal programma di protezione e sull’assenza di diritti.
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Da qui abbiamo sentito la necessità di avviare un’inchiesta indipendente, che ad oggi conta un gruppo di circa 6 persone impegnate nella raccolta delle interviste, e che grazie al supporto di Melting Pot e di un team di legali provvede a far fronte ai sempre più numerosi ricorsi che seguono il diniego dello status giuridico di rifugiato da parte delle commissioni. Credo che sia un dovere quello di informare i cittadini su quanto sta accadendo sotto i nostri occhi, perché non credo che ci siano dei precedenti simili nella storia di questa città e perché un giorno qualcuno non possa dire “non sapevamo“.

L’opificio è diventato in breve tempo un punto di riferimento, uso una frase che ha utilizzato un ragazzo in risposta a un giornalista del Corriere che gli chiedeva informazioni su questa esperienza: “grazie a Talking Hands abbiamo una ragione per alzarci dal letto la mattina” e credo che questa affermazione spieghi più di cento parole il significato dell’opificio, del bisogno di mettersi in gioco, di fare qualcosa, di usare le mani e costruire nuovi percorsi assieme. L’atelier è completamente autogestito, il centro sociale ha messo a disposizione i primi materiali per iniziare le attività laboratoriali, l’associazione Moving School 21 specializzata nella costituzione di pratiche che riguardano la promozione della salute, della qualità della vita, della vivibilità degli spazi e della città ha aderito al progetto e ora siamo già alla seconda collezione realizzata.

La prima serie ha fatto soldout a un mercatino del design indipendente e ci ha dato una bella carica nel continuare a portare avanti questo progetto. Abbiamo un gran bisogno di attrezzi, dai più semplici come martelli, cacciaviti, scalpelli da legno, seghetti e smalti a tutta quella strumentazione di cui ha bisogno un luogo di lavoro e per questo ne approfitto per lanciare un appello a tutti coloro che vogliono farci una donazione a contattarci nel nostro profilo facebook.

Fabrizio Urettini

Fabrizio Urettini

Sono attivista e art director. Nel 2016 ho fondato Talking Hands, studio artistico permanente che permette alle persone delle comunità di rifugiati di disegnare, creare e vendere prodotti di moda e design.
Talking Hands valorizza la diversità, la comunità, la formazione, il design sostenibile e le pratiche commerciali etiche.