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Una Marcia attraversa Ceuta in memoria delle vittime del Tarajal

Fabiola Barranco Riaza, Desalambre - 9 febbraio 2019

Foto copertina: Manifestazione a Ceuta in memoria delle vittime del Tarajal

Nel cimitero di Santa Catalina di Ceuta, all’interno di un’umile nicchia decorata con un bouquet di margherite, riposa Roger Chimi. Il suo corpo è stato il primo a riemergere due giorni dopo quel fatidico 6 febbraio del 2014. Quel giorno un gruppo di migranti provò a raggiungere la costa spagnola attraverso il molo marittimo di El Tarajal, quando la Guardia Civil li accolse sparando proiettili di gomma e gas lacrimogeni, lasciando che perdessero la vita 14 persone.

5 anni dopo, al grido di “Tarajal, non dimentichiamo” o “La Spagna paga, il Marocco tortura”, circa cinquecento persone arrivate da diverse parti della Spagna e da altri paesi europei hanno sfilato per le strade di Ceuta, in quella che è stata denominata la “VI Marcia per la Dignità”. Un incontro rivendicativo per tenere alta la memoria delle vittime della tragedia: Roger, Yves, Samba, Larios, Daouda, Luc, Youssouf, Armand, Ousmane, Keita, Jeannot, Oumarou, Blasie e un’altra vittima mai identificata. Un incontro che ha voluto anche esigere “giustizia e risarcimento” per i sopravvissuti, 23 dei quali furono rispediti in Marocco senza aver avuto accesso a nessuna procedura formale.

Nello striscione di apertura si leggeva “Né a caldo, né immediati, i respingimenti sono illegali”, una rivendicazione mai sopita.

La targa commemorativa per ricordare le 14 vittime del Tarajal

Arona, un giovane senegalese di 25 anni, era in testa alla Marcia, a scandire queste frasi insieme agli altri. Per prendere parte a questa manifestazione è arrivato a Ceuta da Madrid, dove vive attualmente. “Anch’io sono passato per un processo migratorio e la stessa cosa sarebbe potuta succedere a me. È ingiusto che continuino ad esserci morti alla frontiera”.

Arona è nervoso ed emozionato. La sua mente ora è avvolta in un turbinio di ricordi. Frammenti del giorno in cui altri 8 ragazzi come lui rimasero dispersi nel mezzo del mare mentre la barca su cui viaggiavano verso l’Europa, che sembrava un giocattolo, subì un naufragio. Furono tratti in salvo da Salvamento Marítimo e, nonostante non avessero raggiunto il vecchio continente, furono trasferiti a Ceuta. Durante gli 11 mesi trascorsi nella Città Autonoma, l’Associazione Elin è stata il suo rifugio. “Era la mia casa, era lo spazio in cui le persone mi facevano sentire degno, ed io mi sentivo utile”, così ricorda emozionato il suo passaggio nell’associazione, che lavora nel campo dell’accoglienza e dell’interculturalismo per rifugiati e migranti.

Per questo, appena arrivato a Ceuta venerdì pomeriggio, si è unito ai lavori preparativi degli striscioni che sono poi stati mostrati durante la Marcia. “Boza significa libertà” e “Stop alle frontiere”, sono alcuni degli slogan che i molti ragazzi e ragazze migranti hanno scritto sui manifesti in diverse lingue.

Alla fine della Marcia, arrivati al molo cinto da filo spinato del Tarajal, hanno collocato, ai piedi della recinzione, una targa commemorativa con scritto “In memoria delle quindici persone che il 6 febbraio 2014, in cerca di una vita migliore, hanno incontrato la morte”, e hanno acceso una candela per ciascuna delle vittime.

Ci uniamo per chiedere che si compia la legislazione internazionale, che sia fatta giustizia e che questi atti non restino impuniti”, legge a voce alta Arona dal manifesto, al quale hanno aderito più di 50 tra associazioni e collettivi e che ha dato conclusione alla Marcia.

Una Marcia che, dicono, continueranno a fare, “fino a che non ci saranno giustizia e risarcimento per le vittime del 6 febbraio e i loro familiari, fino a che non cesseranno la morte, la violenza, l’impunità e la violazione di leggi e diritti umani che ogni giorno vediamo alle nostre frontiere”.