Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Una questione di sensibilità

di Sara Forcella

Notizie, parole. Un mare di parole.
Chi ha in mano l’informazione gestisce l’opinione pubblica su tanti temi importanti, fra cui quello dei migranti. E di parole se ne sentono a bizzeffe. Molte errate, altre volutamente fuorvianti. Altre ancora da far accapponare la pelle e venire i brividi, non si capisce se per la loro disumanità intrinseca o per quel contrasto straniante tra l’assurdità del contenuto e la normale tranquillità con cui vengono pronunciate, e recepite.

Gran parte della colpa delle ondate xenofobe sembra ricadere sulle notizie che circolano, sulla cattiva informazione, sul modo in cui alcuni media (e chi dietro di loro) cercano di convogliare l’opinione pubblica in un verso o in un altro.
Certamente è vero che c’è un problema di informazione malata, tendenziosa, intenta a perpetuare un clima di odio che tira in ballo la difesa fasulla dei propri diritti per creare una barriera insormontabile tra sé e gli altri. Di questo si è detto e parlato molto. Contrastare descrizioni fuorvianti e restituire alla questione migratoria una narrazione veritiera è senz’altro fondamentale per opporsi all’immagine del migrante/straniero come pericoloso e subumano, che tanto fa gioco a chi sostiene patriottismi anticostituzionali. Eppure, in una tale confusione, dove tanta responsabilità hanno sicuramente i media e le loro scelte – anche di marketing -, che si risolvono nella diffusione di notizie errate e ideologie velenose, provare a spostare il focus del discorso può aiutare a cogliere qualche sfumatura in più.

Torniamo a quell’accapponare la pelle poco sopra, alla reazione che dovrebbe naturalmente nascere dall’interno ogni qualvolta veniamo esposti a proposizioni violente, a parole che, talvolta sottilmente, racchiudono affermazioni xenofobe o giustificano, per incapacità e mancanza di volontà ad opporsi, l’assunto che i diritti non siano di tutti.

Il tema dei diritti e della cittadinanza è un discorso enorme, che mette in discussione il senso stesso di nazione e di confini, e di cui non ci occupiamo qui.
Quel che preme sottolineare è che sotto la questione dei diritti, si sente strisciante l’assunto di una irrimediabile diversità, di una impossibilità a considerare tutti passibili degli stessi. Non siamo tutti uguali, sentiamo ripetere, se una volta la motivazione era biologica e legata alle razze ora è la cultura – afferma Barbujani 1 – a rendere le persone irrimediabilmente diverse nel loro maggiore o minore grado di umanità. Alla base, c’è un pensiero quantomeno ambiguo sull’altro: quale monstrum, il diverso-da-sé è agli occhi di chi non sa più conoscere, ancora prima ha smesso di sentire, e può solo formulare pensieri pericolosi, perché astratti. Ci chiediamo, perciò, cosa succede di fronte a questo mare magnum di informazioni e narrazioni quotidiane sui migranti, intrise di retorica – dall’invasione all’emergenza – e prive di memoria storica, volutamente atte a sviare i problemi di un paese dove le politiche errate e la disuguaglianza sociale non sono certo fatti nuovi.

Distinguere la realtà da ciò che non è, dare un nome alle cose, perché risulta così difficile? Ancora, forse ci aiuta a rispondere quell’immagine della pelle che si scuote per i brividi, mentre vediamo e ascoltiamo, e di contro le tante volte in cui questo non c’è più, e la reazione verso l’altro è debole, confusa, o viene totalmente a mancare. E così, discernere le cose si fa quasi impossibile, invece che rendersi sordi alle soluzioni populiste se ne viene sedotti: mentre occorre, e con urgenza, allargare lo sguardo a vicende che non si esauriscono entro i confini nazionali, ma hanno una portata globale che investe tutti. Come fare a sentire il vento forte che si alza in direzione ostinata e contraria, questa è la vera domanda che attanaglia chi ha a cuore la questione migratoria, la sorte dei migranti, le loro condizioni di vita in Italia e altrove, e il futuro del nostro paese in termini di razzismo, di odio, o invece di possibilità per una convivenza multiculturale in grado di produrre un più ricco modo di vivere per tutti. Far circolare nuove idee, ed essere in tanti, a riconoscersi, in quelle nuove idee. Come?

Qualcuno sostiene che occorre creare massa critica, in grado di fare pressione sulle scelte politiche. Poiché l’opinione pubblica fa massa critica, ci dicono che bisogna puntare sulla comunicazione. Così, una buona strategia comunicativa, un linguaggio d’impatto, un’azione eclatante dovrebbero riconquistare la collettività: riequilibrare le narrazioni tossiche con altre finalmente illuminate, convincerebbe l’opinione pubblica che le migrazioni non sono da temere, e i pensieri razzisti e xenofobi si lavano via, come i peccati. Una questione, perciò, soprattutto di mezzi, a incarnare quel cambiamento tanto agognato che poi però, per qualche motivo, non arriva comunque. Viene naturale domandarsi se il mancato sviluppo di massa critica sia solo una questione di comunicazione mediatica, ove riporre la nostra speranza di cambiare le cose, e se contrapporre narrazione a narrazione può risolvere l’inquietante fenomeno della popolarità delle destre xenofobe. Se si tratta, insomma, solo di raggiungere orecchie più distratte o disorientate, ma comunque recettive.

Il concetto di massa critica non risponde, infatti, ad alcune domande importanti: cosa porta a “credere” alle proposizioni violente di chi propugna le disuguaglianze, a chi fa della diversità uno spauracchio che giustifica la subalternità e, soprattutto, cosa c’è dietro l’aderenza agli stessi, all’accontentarsi di parole facili e grossolane, e poi, infine, ad accumulare noncuranza, diffidenza, se non odio profondo verso una diversità data per irrisolvibile? Se l’epoca di internet dà accesso ad una quantità smodata di notizie, tra le quali circola anche tanta buona informazione, perché c’è chi si orienta verso queste ultime, e chi invece le ignora per andare a trovare ciò che vuol sentirsi dire, dal populista e/o nazionalista di turno? Occorre riflettere sul perché è questa l’informazione che fa più presa. Ancora, è solo una questione di strategie comunicative, di flash mob o di azioni mirabolanti, avere una capacità critica?

Forse c’è un problema culturale. Di pensiero, più che di mezzi, di mancanza di idee forti e chiare sulla questione. Se diffondere informazioni corrette è sacrosanto, tuttavia occorre un discorso di portata più ampia per aprire gli occhi a chi vorrebbe far sparire quell’altra parte di mondo, e di umanità, che si trova appena poco oltre la nostra soglia di casa. I cambiamenti sono lenti, richiedono il proprio tempo.

Specialmente, quando a dover mutare è un pensiero di anni, tanti anni, e che per essere sradicato necessita di un’elaborazione profonda, di una capacità di lettura della realtà saldata inequivocabilmente alla realtà stessa: occorre saper accostare i fatti della storia umana, con la S maiuscola, con i contesti culturali, e poi con le storie individuali delle persone. L’intolleranza e il razzismo non si generano senza motivo, spesso si originano in contesti di vita e di rapporti sociali deludenti, o profondamene malandati; dall’altro lato, le disuguaglianze sociali non aiutano a creare un clima solidale. Tuttavia, è sempre il credere al mors tua vita mea, che determina le derive xenofobe, come fosse una difesa a quel lato oscuro e malevolo che ci sarebbe in ogni uomo – e nello straniero/sconosciuto in massima parte ̶ , di matrice religiosa e non solo. Allora la confusione si fa grande, non si distinguono più gli amici dai nemici, le maschere dai volti reali, il vero dal falso, le cose fatte per tornaconto personale da quelle che sono nell’interesse di tutti. Se il problema è l’incapacità di ri-conoscere le cause delle condizioni distopiche che ci troviamo a vivere, forse dobbiamo di nuovo ritornare a quella reazione che viene a mancare quando si ascoltano proposizioni violente, assunti sulla diversità inconoscibile e insuperabile, sulla diversità pericolosa. “Un essere umano entra in rapporto con il mondo attraverso la pelle, dissi, e come può uno che ha i pori ostruiti sentire l’ambiente ed essere sensibile alle sue vibrazioni?2 Ci domandiamo, perciò, se l’obbiettivo non sia l’indistinta massa critica bensì la sensibilizzazione di ciascuno. Sensibilizzare per aprire i pori, far leva sulla “pelle” delle persone, renderle capaci di reagire a quanto accade intorno a loro. In grado, cioè, di un sentire che distingue ciò che minaccia realmente la nostra qualità della vita, da capri espiatori evidentemente fasulli.

Orienta nella conoscenza dei fenomeni politico-sociali di cui siamo oggetto, e ci fa attenti alle vicende della storia. Per smettere, dunque, di credere all’uomo nero, o alla falsa verità della “paura emozionale” di fronte allo sconosciuto. Restituiamo alla parola emozione il suo accompagnarsi all’esperienza soggettiva dei sentimenti, e smontiamo l’equazione tra non conoscenza, paura e odio: forse c’è qualche cosa che si inceppa quando, nel guardare l’altro, lo si fa meno umano, qualcosa accade se l’empatia scompare, se subentra la “paura” immotivata, invece di quella che dovrebbe essere, come ha sempre ribadito Fagioli, la più naturale delle reazioni nei confronti dell’altro essere umano: l’andare verso, l’interesse per 3.

Sensibilizzare, allora, per essere capaci di provare empatia per le condizioni altrui, quella stessa empatia che costringe ad opporsi a quanto di disumano ci circonda, a trovare soluzioni differenti che abbiano, almeno come obiettivo finale, la possibilità di garantire un’esistenza dignitosa a tutti.

Sensibilizzare, però, è un’operazione complessa. Deve costruirsi su idee d’acciaio in grado di sovrastare le voci inconsistenti di nazionalismi e nuovi razzismi, con un pensiero tanto limpido e pulito che non teme di denunciare, quando occorre, la violenza. Se rispetto ai fatti di Macerata dello scorso 3 febbraio, un candidato politico può affermare: “è chiaro ed evidente che un’immigrazione fuori controllo, un’invasione come quella organizzata, voluta e finanziata in questi anni, porta allo scontro sociale4, annullando completamente la dimensione malata e profondamente delirante del gesto compiuto e dandogli una qualche sorta di valenza politica che invece non ha, allora forse non è questione solo di mezzi di comunicazione, ma di pensiero – e di cultura, come sistema di riferimento delle idee – che non funziona più. Ecco perché bisogna sensibilizzare a riconoscere le parole piene da quelle vuote, la conoscenza vera da proposizioni astratte che hanno perso il contatto con la realtà. Sensibilizzare, dunque, partendo dalla scuola, dai ragazzi. Poiché parlando con loro si può sperare di arrivare a quelle famiglie che sembrano ormai sorde, stanche, accecate da delusioni che pesano come macigni. Formare insegnanti e studenti, pensare a percorsi di sensibilizzazione seri ed efficaci che restituiscano la possibilità di fare esperienza e, sporcandosi le mani, permettano la costruzione di una conoscenza diretta e personalissima, dove la sensibilità garantisce quel legame diretto con il reale che non deve e non può spezzarsi.

A Velletri, in provincia di Roma, il liceo delle umane Mancinelli e Falconi ha avviato con il centro SPRAR un progetto di alternanza-scuola lavoro davvero efficace. Gli studenti, a turno, entrano nel centro di accoglienza e assistono operatori e figure professionali nello svolgimento delle loro mansioni con i migranti ospiti; incontrano i migranti, ci parlano, sentono le loro storie. Non più chiacchiere, voci di strada, fantasmi lontani, ma rapporto umano diretto che non ammette fughe dalla realtà, permettendo ai ragazzi, con la guida di figure apposite e di un’insegnate estremamente capace, di incontrare quel diverso che alla fine, così tanto diverso quando ti racconta di sé, forse non è. Sensibilizzare è questo. E’, ancora, mettere in campo azioni all’interno dei servizi pubblici e di sicurezza che si occupano di migranti per preparare chi vi lavora: formazioni tenute da chi conosce il mestiere, alla costante ricerca di buone prassi da raccontare, affinché si smontino luoghi comuni e si vada al cuore delle cose, alla quotidianità che può, deve e, affiancata da una visione davvero inclusiva dell’accoglienza, restituisce alle persone il senso del vivere insieme.

Magari, allora, prima di fare massa critica, prima di dare eccessiva fiducia a strategie comunicative d’impatto e azioni eclatanti, occorre costruire e ricostruire il senso critico del singolo, quello che passa dalla sua esperienza, dallo sviluppo di quella conoscenza per sensibilità che può orientarlo nel suo rapporto con gli altri, migranti o no che siano. Finalmente, naturalmente “indifferente” alle campagne mediatiche d’odio.
…bene ragazzo, e ora / ascolta/ conserva/ prolunga il tuo silenzio/ finché in te /non saranno mature /le parole,/ guarda e tocca/ le cose,/ le mani/ salgono, hanno/ una cieca sapienza,/ ragazzo,/ nella vita dovrai essere/ un buon fochista,/ dignitoso fochista,/ non ti mettere in testa/ presunzioni di penna,/ di argonauta,/ di cigno,/ di trapezista tra le alte frasi/ e il vuoto assoluto,/ il tuo dovere/ è di carbone e di fuoco,/ devi/ sporcarti le mani/ con l’olio bruciato,/ col fumo/ della caldaia,/ lavarti/, metterti un vestito nuovo/ e allora/ capace di cielo potrai/ preoccuparti del giglio,/ usare la zagara e la colomba,/ diventare raggiante,/ senza dimenticare la tua condizione/ di dimenticato,/ di negro,/ senza dimenticare né i tuoi/ né la terra,/ irrobustisciti/ cammina/ sulle pietre aguzze/ e ritorna.5
Per scansare le “alte frasi” che celano “il vuoto assoluto”, occorre non avere paura di sporcarsi le mani.

  1. Guido Barbujani, “Culture, Razze, Confini” in Il Manifesto, 27 maggio 2017. Disponibile all’indirizzo: https://ilmanifesto.it/culture-razze-confini
  2. Fatema Mernissi, La terrazza proibita, Firenze: Giunti, 1996, p.220
  3. Fagioli spiega il fondamento scientifico dell’andare verso, della certezza del rapporto con un altro essere umano, nell’elaborazione della sua Teoria della Nascita. Egli sostiene che il primo io dell’essere umano è un “io in rapporto con”, per cui il fondamento dell’identità umana è nel rapporto. Massimo Fagioli, Istinto di Morte e Conoscenza, Roma: L’Asino D’Oro, 2010
  4. Piera Matteucci, “Raid razzista a Macerata, Salvini: Colpa di chi ci riempie di clandestini. Renzi: Ora calma e responsabilità” in La Repubblica, 3 febbraio 2018. Disponibile all’indirizzo: http://www.repubblica.it/politica/2018/02/03/news/raid_razziale_a_macerata_salvini_chiunque_spari_e_un_delinquente_-187953469
  5. Pablo Neruda, Con i baci che imparai dalla tua bocca, Firenze: Passigli Editori, 2015.