Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Violenze sistematiche al confine serbo-croato: l’inchiesta dell’iniziativa Welcome! e di Are You Syrious?

di Maddalena Avon, volontaria presso il Centro studi per la pace di Zagabria

Abas ha 20 anni , viene dall’Afghanistan. Ha provato ad attraversare il confine serbo-croato tre volte, ed ogni volta – nonostante l’espressa richiesta d’asilo – è stato respinto nel territorio serbo. Gli hanno preso i soldi che aveva in tasca, il cellulare.
Attaulah ha 17 anni, anche lui viene dall’Afghanistan. Ci racconta la sua storia e gli avvenimenti sono gli stessi raccontati da Abas poco prima: “la polizia croata ci ha riportati indietro, anche se abbiamo dichiarato la volontà di fare richiesta d’asilo”.
I poliziotti non si limitano a prendergli i soldi e il cellulare. Attaulah e il gruppo di 32 persone con cui stava viaggiando vengono portati alla vecchia stazione dei treni vicino a Sid, la prima città serba dopo il confine, dove percosse e manganellate rendono ben chiaro l’atteggiamento del governo croato: difesa dei confini, ad ogni costo.

Salar, poco più che ventenne, aveva raggiunto Zagabria, la capitale croata a circa 3 ore dal confine. Ha dormito due notti all’Hotel Porin, il centro per i richiedenti asilo arrivati in Croazia. Una mattina, i poliziotti lo caricano in auto senza dare spiegazioni sulla destinazione. “Quando ci siamo fermati, tre poliziotti sono usciti dall’auto e hanno cominciato a picchiarmi. Ho ripetuto mille volte che volevo avviare la procedura d’asilo in Croazia”. Lo hanno picchiato, con bastoni e manganelli, a suon di “No asylum here – go back to Serbia”.
Ali viaggiava con un gruppo di 24 persone, quasi tutti dall’Afghanistan, tutti giovani ed alcuni minori.
Il 6 gennaio la polizia croata ha costretto i ragazzi a togliersi le scarpe ed i vestiti. Li hanno picchiati, obbligandoli a stare a piedi nudi sulla neve, per poi respingerli lungo la linea ferroviaria verso il territorio serbo.
Queste sono quattro delle cinquanta interviste, storie, testimonianze, che il Centro studi per la pace, l’iniziativa Welcome! e l’associazione Are You Syrious? hanno raccolto nelle ultime spedizioni al confine serbo-croato e a Belgrado.

Il governo croato è sembrato sordo ai report pubblicati precedentemente da altre organizzazioni come UNHCR in Novembre e Dicembre, Human Rights Watch, Medici Senza Frontiere, in cui si parlava di respingimenti collettivi ed individuali di migranti dal territorio croato a quello serbo, nonostante un’esplicita e ripetuta dichiarata intenzione di fare richiesta d’asilo in Croazia. In particolare, il report pubblicato dall’organizzazione Human Rights Watch nel gennaio 2017 riporta numerosi esempi di violenza esercitata durante queste vere e proprie espulsioni, con testimonianze di “pratiche violente e scioccanti subite dai richiedenti asilo al confine croato”.

Le interviste e le testimonianze raccolte dal Centro studi per la pace, dall’Iniziativa Welcome! e dall’associazione Are You Syrious? hanno reso possibile l’acquisizione di un’ampia e profonda visione di ciò che succede ai confini del loro paese, evidenziando così non solo l’incompatibilità con la legge nazionale ed internazionale, ma evidenziando come la polizia croata non tenga conto neanche lontanamente dell’inviolabilità e la protezione della vita e della dignità umana. Stando alla ricerca fatta, i push backs esercitati dalla polizia croata hanno interessato famiglie ed individui di ogni età, principalmente provenienti dall’Afghanistan, ma anche dall’Iraq, Pakistan, Siria. La maggior parte degli interessati ha dichiarato espressivamente la richiesta di protezione internazionale, a volte anche con modalità che prevedevano l’umiliazione autoinflitta (suppliche, baci a mani e piedi dei poliziotti).

Tutti gli intervistati dichiarano di aver subito violenze sistematiche, verbali e fisiche, alcuni le descrivono come “violenze che non hanno mai subito neanche nei loro paesi d’origine”. Attraverso testimonianze dettagliate, gli attivisti delle organizzazioni croate sono riuscite a localizzare i punti in cui i migranti vengono caricati nelle auto, quelli in cui poi vengono scaricati per essere brutalmente rispediti in Serbia, e le stazioni di polizia in cui hanno dichiarato di voler fare richiesta d’asilo – come quelle di Zagabria, Zaprešić, Đakovo e Vinkovci. Alcuni portano ancora con se dei documenti con scritto “Hotel Porin, Novi Zagreb”. Ci raccontano che i poliziotti alla stazione di polizia di Novi Zagreb, alla richiesta di aiuto nella compilazione dei documenti, hanno risposto con un passaggio in auto verso il confine con la Serbia, obbligandoli poi a camminare oltre al confine e tornare quindi su territorio serbo.

Un caso particolarmente delicato di cui le organizzazioni croate si stanno occupando è quello di una famiglia di quattro membri, i genitori e due figli, che hanno denunciato violenza fisica e verbale, sta volta alla frontiera croato-slovena. Questo sottolinea nuovamente come la polizia croata non faccia eccezione per quanto riguarda i minori, e respinga anche quest’ultimi verso il territorio serbo (al momento ci sono più di 100 minori a Belgrado, al di fuori dei campi ufficiali, riportano le organizzazioni croate).

La collaborazione tra gli attivisti e I richiedenti asilo ha reso possibile l’identificazione non solo dei luoghi dove le violenze sono state esercitate, ma anche di un pattern di azioni come:
Detenzione lunga ore, a volte giorni, all’interno delle stazioni di polizia (come l’esser stati chiusi a chiave in delle stanze) in assenza di mediatori e interpreti;
Abuso di potere da parte degli agenti (l’uso ripetuto di frasi come “No asylum, go to Serbia);
Minacce (al prossimo tentativo di attraversamento del confine, i poliziotti hanno parlato di tre mesi di detenzione);
Sbeffeggiamenti, come l’assurda dichiarazione della presenza di interpreti e traduttori 24 ore al giorno al confine con la Serbia, o la dichiarata volontà di volerli accompagnare alle stazioni di polizia per le procedure d’asilo, e invece portarli alla frontiera);
Espulsioni e respingimenti, nonostante le dichiarate intenzioni e volontà di richiesta d’asilo in Croazia;
Sottrazione dei beni dei migranti, come soldi e telefoni cellulari, spesso distrutti con calci;
Violenza verbale, come urla di disprezzo, derisione, imprecazioni (diversi ragazzi le hanno citate letteralmente, “idite u pičku materinu”, che in italiano può essere tradotto con “andate a cagare”);
Violenza fisica, come spintoni, percosse con bastoni e manganelli sull’addome e altre parti del corpo, pugni in faccia, a volte esercitate sui corpi nudi dei migranti. Sono stati mostrati e fotografati ematomi su gambe, addome e braccia, ferite alla testa, al naso, capillari rotti negli occhi, dita delle mani fratturate. A questo proposito, Medici Senza Frontiere ha documentato quattro casi medici in cui i pazienti sono stati medicati in seguito alle violenze della polizia croate, denunciate dai pazienti stessi. Da un’intervista con un gruppo di migranti emerge come gli agenti di polizia si siano disposti in due file, facendo passare in mezzo a loro i migranti, uno a uno, picchiandoli poi con i manganelli.

Numerosi migranti si sono detti in grado di identificare e riconoscere gli agenti che hanno impedito loro di avviare le procedure d’asilo.

Le organizzazioni che hanno condotto l’indagine dichiarano l’urgenza non solo dell’apertura di un’inchiesta riguardo alle violenze sistematiche da parte della polizia croata, ma anche di una dichiarazione di responsabilità da parte del governo croato, e allo stesso tempo l’immediato accesso a tutti coloro i quali abbiano fatto richiesta d’asilo in Croazia.

Dopo la conferenza stampa tenuta dalle associazioni martedì mattina, e dopo l’apparizione del Ministro degli Interni Orepić al programma serale Otvoreno della tv nazionale che ha negato le sistematiche violenze al confine, la risposta del sindacato di polizia non si è fatta aspettare. Infatti, questo pomeriggio hanno fatto uscire un comunicato in cui chiedono ai rappresentanti delle associazioni di scusarsi “immediatamente” con gli ufficiali di polizia. In caso contrario, verrà fatta causa per diffamazione ai rappresentanti e i membri delle associazioni. È chiaro che le politiche di criminalizzazione della solidarietà sono ormai all’ordine del giorno nello stato croato.

Maddalena Avòn

Sono Maddalena Avon, vivo e lavoro a Zagabria dopo essermi laureata a Bologna con una laurea in Relazioni Internazionali specifica su studi e ricerca sull’est Europa.
Lavoro al Centro studi per la Pace di Zagabria e sono attiva in diversi collettivi nella regione come quello dell'Iniziativa Welcome!
Mi occupo di supporto diretto dei migranti e richiedenti asilo in Croazia, lavorando più nello specifico sul monitoraggio e la denuncia dei pushback e le violenze ai confini.